Tunisia: accesi i riflettori sullo “scontro di civiltà”, mentre Ennahdha tenta di porre limiti alla libertà di espressione

Patrizia Mancini

Tunisia: è giunta l’ora della resa dei conti fra il partito islamico “moderato” Ennahdha e i salafiti jihadisti?

“ Abbiamo dimostrato un certo  lassismo nei confronti dei salafiti…ma d’ora in avanti sarà tolleranza zero.” E’ con queste parole che Samir Dilou, portavoce del governo e membro di  Ennahdha,  partito maggioritario all’interno della compagine governativa, sembra voler esprimere la rottura con  la lunga e ambigua fase di connivenza con i movimenti salafiti. In una intervista all’”Express (http://www.lexpress.fr/actualite/monde/afrique/tunisie-nous-avons-commis-des-erreurs_1162293.html) del 21 settembre,  Dilou esplicita una profonda autocritica che riguarda peraltro anche molti altri punti dell’azione governativa. Definiti  dal capo carismatico del partito, Rached Gannouchi, “nostri figli con i quali occorre dialogare” e rappresentanti di una componente della base dello stesso partito, i salafiti sono stati lasciati finora liberi non solo di manifestare (e fin qui niente da eccepire, la libertà  essendo una delle rivendicazioni delle rivolte tunisine che hanno portato alla cacciata di Ben Alì), ma anche di attaccare luoghi e persone  considerati simboli del tanto aborrito laicismo o “nemici” dell’Islam.  La lista è lunghissima e termina momentaneamente con l’assalto all’ambasciata degli Sati Uniti  del 14 settembre scorso,  provocata ad arte e secondo schemi consueti,  da un filmetto di infima categoria girato da un egiziano copto nemico dichiarato dell’Islam, ma anche piccolo truffatore già condannato negli USA. Tuttavia, nei  video girati durante gli scontri davanti agli edifici del compound statunitense, sono chiaramente visibili persone che saccheggiano la scuola americana, portandosi via computer, sedie e quant’altro, le quali, almeno attenendosi all’abbigliamento, non sarebbero seguaci del salafismo. Secondo l’interpretazione di chi è vicino al partito Ennahdha o di alcuni osservatori europei, si tratterebbe di persone dell’ancien régime, pagati per discreditare il governo tunisino o comunque per creare il caos nel paese e far rimpiangere l’”ordine dei bei tempi andati”. Mentre, per altri, più semplicemente, si tratterebbe di quella frangia di sottoproletariato delle banlieues legata al contrabbando e allo spaccio di stupefacenti,  spesso  contigua ad alcuni gruppi salafiti.
Già ieri (venerdì 21 settembre) la macchina securitaria governativa sembra aver cominciato ad imporsi, circondando l’ambasciata di Francia di filo spinato e di mezzi blindati, impedendo la circolazione sull’arteria principale cittadina, l’avenue Bourghiba e su molte altre vie adiacenti e proibendo qualunque manifestazione all’uscita delle moschee. Ciò a seguito dell’ennesima provocazione del periodico francese “Charlie Hebdo” che ha  pubblicato nei giorni scorsi alcune vignette satiriche sull’Islam.  Ci sono state solo brevi scaramucce con gruppi di salafiti, dispersi agevolmente con lacrimogeni. Ma ora cosa succederà nei prossimi giorni? Le conclusioni di  un’ottima ricerca del sociologo Fabio Merone, residente a Tunisi e del lettore presso  l’Università di Dublino,  Francesco Cavatorta( http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=32704 e http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=32816&typeb=0&24-08-2012–Tunisia-l-ora-del-salafismo-e-del-jihad-seconda-parte-
 possono fornire una risposta: finora la componente jihadista del movimento salafita tunisino, Ansar ash-asharia, ha   sospeso ogni azione  ostile al governo presieduto da Ennahdha perché non ha loro vietato la predicazione…Ma le affermazioni di Samir Dilou, qualora comportassero arresti e cacciata dalle moschee dove il gruppo è presente, potrebbero essere considerate come il segnale per i salafiti per scatenare il  jihad.
Nel frattempo Ennahdha non perde l’occasione per utilizzare gli ultimi avvenimenti per invocare, tramite il suo capo carismatico Rached Gannouchi, una legge contro ogni attentato al sacro e limiti all’utilizzo di Internet che prevedibilmente potranno condurre ad un ritorno alla censura di stato, questa volta in chiave confessionale.