Il caso di Abdelmajid Touil: alcune considerazioni

Abdel Majid Touil al suo sbarco in Italia Crédit: la provincia pavese

Abdel Majid Touil al suo sbarco in Italia
Crédit: laprovinciapavese.geolocal.it

Stefano M. Torelli, ISPI Research Fellow

L’arresto di Abdelmajid Touil, il cittadino marocchino accusato di aver preso parte all’attentato contro il Museo del Bardo dello scorso 18 marzo a Tunisi, porta con sé una serie di interrogativi e offre uno spunto per alcuni elementi di analisi. In prima battuta, la domanda che ci si pone con più insistenza riguarda la posizione dell’Italia nei confronti della minaccia jihadista: dopo l’arresto di martedì, siamo un Paese che si scopre più vulnerabile? La risposta è non più di prima. Non perché non vi sia un possibile rischio che si verifichino azioni terroristiche di matrice islamista anche in territorio italiano (fattore mai negato e analizzato in maniera approfondito nell’ultimo rapporto ISPI pubblicato lo scorso 8 maggio), ma perché la vicenda di Touil non aggiunge particolari elementi di pericolosità a quelli già esistenti. 

I dubbi. Se analizziamo i fatti, la stessa vicenda del cittadino marocchino presentava diverse incongruenze fin dall’inizio. Secondo le prime ricostruzioni, si sarebbe trattato di una persona arrivata in Italia su un barcone lo scorso febbraio, che dopo un mese avrebbe preso direttamente parte all’attentato del Bardo, per poi ri-materializzarsi in Italia, dove è stato arrestato. Il tutto nel giro di due mesi. Troppi gli elementi che non tornavano. Come avrebbe fatto Touil a recarsi in Tunisia e, successivamente, come sarebbe tornato in Italia? Se stava pianificando un attentato simile, perché avrebbe dovuto andare prima in Libia e, da lì, recarsi in Italia su un barcone, dove sarebbe stato identificato? Come avrebbe fatto a prendere parte all’attacco e a far perdere completamente le sue tracce? Tutti questi interrogativi si sono non del tutto risolti nella giornata di ieri, alla fine della quale è emerso che Touil non avrebbe mai lasciato l’Italia dopo il suo arrivo (diverse testimonianze lo attesterebbero), ma viveva con la madre e i due fratelli a Gaggiano; che dunque non avrebbe preso parte direttamente all’attentato di Tunisi, ma avrebbe fornito un “sostegno logistico”; che non vi sono prove del fatto che nel momento in cui è arrivato in Italia avesse intenzione di compiere attentati. 

Barconi e jihadismo. Cosa si può dire sulla base di questi elementi? Prima di tutto, occorre sottolineare ancora una volta come il nesso tra immigrazione e terrorismo non sia ancora stato provato. Pur con tutte le necessarie e dovute cautele del caso, lo stesso episodio di Touil non proverebbe alcuna relazione tra “barconi” e jihadisti, come sottolineato dalle stesse fonti di intelligence italiane. Secondo queste ultime, di tutti i casi di persone monitorate perché ritenute “sospette” (961) e di tutte quelle perquisite (294), in nessun caso vi era un qualche nesso con le persone giunte in Italia attraverso il Mediterraneo come immigrati. Del resto, se è vero che è diventato relativamente facile raggiungere l’Italia attraverso il canale dell’immigrazione, è altrettanto vero che, nel momento in cui si giunge, si è sottoposti a controlli e identificazioni e, dunque, si cessa di essere “invisibili” alle autorità. Il livello di allerta resta chiaramente alto, ma l’episodio di ieri non sembra provare un nesso causale tra immigrazione e infiltrazioni jihadiste.

Le comunità straniere: Marocco e Tunisia. Se è vero che aspiranti jihadisti possano essere facilitati da un contesto favorevole e in cui riuscire a muoversi meglio in maniera non sospetta, è anche vero che occorre monitorare soprattutto le comunità straniere più presenti in Italia. I cittadini marocchini che vivono in Italia sono quasi 450.000 e rappresentato la prima comunità straniera nel nostro Paese. I tunisini sono circa 120.000 e, dopo la Francia, l’Italia è il Paese con la più grande comunità tunisina all’estero. Anche in questo caso, non si può e non si deve trovare nessun nesso di causalità tra la presenza di cittadini marocchini e tunisini in Italia e la possibilità che da queste comunità arrivi una reale minaccia. Occorre però essere coscienti di questa situazione e monitorare con attenzione i movimenti all’interno di queste comunità, statisticamente più permeabili di altre.    

Cooperazione con la sponda Sud: usare con cautela. Secondo quanto emerso, sarebbero state le stesse autorità tunisine a indicare a quelle italiane che Touil fosse un cittadino sospetto. La sua individuazione e il suo arresto sono stati portati a termine grazie alla cooperazione con la Tunisia. Se questo è un elemento positivo e risponde all’esigenza più volte sottolineata di instaurare meccanismi di cooperazione e scambio di informazioni tra le nostre intelligence e quelle dei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, questa vicenda mette anche in guardia circa i possibili rischi cui si va incontro. Le autorità tunisine hanno subito diverse critiche per la relativa facilità con cui è stato condotto l’attentato al Bardo (nella capitale, contro un obiettivo sensibile, in pieno giorno) e per non aver saputo prevenire l’attacco. Allo stesso modo, hanno la necessità, anche politica, di mostrare l’efficacia della loro azione anti-terroristica agli occhi della popolazione. Ciò vale soprattutto per un Paese che sta ancora vivendo una fase di delicata transizione politica. Tra il 2013 e il 2014 il governo tunisino è già stato accusato di aver condotto operazioni anti-terroristiche senza le opportune verifiche e di aver arrestato a criminalizzato persone e gruppi che in realtà non avevano nessi con il terrorismo. Ciò è avvenuto per la necessità del governo di “trovare un colpevole” agli attentati che si susseguivano contro le forze di sicurezza tunisine. Il caso attuale presenta dinamiche simili: inizialmente Tunisi ha dichiarato che Touil fosse l’esecutore della strage del Bardo (e alcune testate francofone hanno riportato addirittura i luoghi e gli orari dei presunti incontri del ragazzo marocchino con i due jihadisti uccisi nell’attentato), mentre in un secondo momento il Ministero dell’Interno tunisino ha riferito che avrebbe fornito un sostegno logistico (non ancora specificato) dall’Italia. Avere consapevolezza di dinamiche simili aiuta a non incorrere in errori di valutazione. 

Comunicazione: le parole sono importanti. L’ultima considerazione riguarda il modo con cui nella giornata di ieri si è presentata la notizia dell’arresto. Alcune testate parlavano di un “pericoloso terrorista”, altre dell’arresto dell’“esecutore” dell’attentato del Bardo, poi del “pianificatore” o dell’“ideatore”. Il titolo più diffuso sulle testate italiane online è stato “Arrivato sui barconi”. Si tratta di modalità di comunicazione dettate dal bisogno di “fare notizia” e di dare una vena sensazionalistica alla vicenda. Al contrario, mai come in queste occasioni occorre prima di tutto controllare le fonti, ma soprattutto porsi gli interrogativi e i dubbi che una simile vicenda metteva in evidenza, come già descritto. Un’informazione accurata e puntuale, soprattutto in vicende simili, aiuterebbe a non creare ulteriori elementi di tensione, sia a livello sociale, che politico.

tratto da http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/il-caso-di-abdelmajid-touil-alcune-considerazioni-13361