Risorse naturali e sovranità alimentare – Intervista a Habib Ayeb 2° e ultima parte

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Habib Ayeb

Habib Ayeb

Geografo tunisino, Insegnante e ricercatore all’Università Parigi 8 in Francia, attivista e realizzatore di documentari come “Gabes labess” (A Gabes va tutto bene”) “ e “Fellahin (Contadini)

Tunisia in Red: recentemente è stata lanciata una campagna denominata “Winouelpétrole” (Dov’è il petrolio”) che rivendica la trasparenza sulla gestione di questa risorsa da parte dello Stato che, secondo alcuni, nasconderebbe la presenza di grossi giacimenti.

Qual’è la tua opinione a questo proposito?

Habib Ayeb: penso che vi sia stata una manipolazione di questa campagna da parte di alcuni partiti. Intanto va detto che non è vero che c’è il petrolio, lo posso affermare in quanto esistono numerosi studi geologici che sono stati fatti in questo campo. La campagna “Winouelpétrole” è stata portata avanti da chi pensa che la Tunisia navighi sul petrolio e vorrebbe la propria fetta di guadagno per diventare come gli sceicchi dell’Arabia Saudita. Credo si sia trattato di una mobilitazione creata esclusivamente per creare problemi a questo governo, ma chi è sceso in piazza fa parte di quei partiti che sono stati al governo per quattro anni e allora perché non si sono occupati del petrolio in quel periodo? Non parliamo poi dell’ambiente questi che chiedono il petrolio non lo fanno neanche perché si preoccupano dell’ambiente, se ne fregano altamente. Ma anche l’ambiente sano è un diritto. Ok, poniamo il caso che si trovi il petrolio, che ci facciamo? Lo vendiamo per farci i soldi?Faremo come i sauditi, il Kuwait e i libici? Facciamo scoppiare una guerra civile fra noi? Ecco, al posto delle autorità dello Stato, semmai si trovasse del petrolio, non lo farei sapere perché so che scoppierebbe una guerra civile.

Immagine dalla campagna "Dov'è il petrolio?" crédit photo: highlights.com.tn

Immagine dalla campagna “Dov’è il petrolio?” crédit photo: highlights.com.tn

Tunisia in Red: credi che nelle regioni dove eventualmente  si trovasse il petrolio potrebbero sorgere delle velleità scissionistiche?

Habib Ayeb: Sì, perché ancora una volta prevale il regionalismo, ma diciamo subito che chi ha diviso il paese sono stati quelli che hanno votato per Nidaa Tounes e Essebsi per mantenere intatti i propri privilegi, quelli che hanno paura della gente delle regioni povere come ad esempio Sidi Bouzid e Ben Guerdane. Di fatto li ritengono dei selvaggi. Ho sperimentato questo atteggiamento sulla mia pelle: ho compiuto parte del mio percorso scolastico al Nord e quando sono arrivato, con il mio accento del Sud,durante i giochi fra ragazzini, se qualcuno voleva insultarmi, mi chiamava “Fellah” che significa “contadino”, ma nel senso peggiorativo significa “selvaggio. E adesso si accorgono che Il sud è importante, è prezioso?La maggioranza delle persone che hanno votato Essebsi neanche sapevano dov’era Sidi Bouzid.

Tuttavia, è assolutamente tangibile la diffidenza della gente nei confronti del potere perché dalla caduta di Ben Alì non vi è stato alcun cambiamento nella comunicazione da parte dello Stato nei confronti dei cittadini, sono stati sostituiti gli uomini e le donne al potere, ma non si è modificata la politica, non vi è stata nessuna innovazione nelle scelte fondamentali, non sono state messe in atto delle nuove pratiche, E’ evidente il sussistere del problema della trasparenza dello Stato nei confronti dei suoi cittadini e cittadine. Ma è giunto il tempo di giocarsi questa carta, in questa maniera, gradualmente, le persone capiranno, quando si forniranno loro le cifre e i dati reali, le ragioni del costo attuale dei carburanti. Purtroppo, questa pratica ancora non è corrente in Tunisia e si si usano gli stessi metodi di Ben Alì e di Bourghiba. Se veramente hanno le prove che non c’è il petrolio, perché non le mettono online?Potrebbero distribuire un rapporto sul petrolio a tutta la popolazione. Invece, mantenendo questa opacità nella comunicazione, hanno permesso che questa campagna si focalizzasse in maniera malsana su questo punto.

Tunisia in Red: Ma almeno questa campagna è stata utile per parlare della gestione delle risorse naturali in Tunisia?

Habib Ayeb: In realtà non vi sono state delle rivendicazioni chiare,ma delle fantasticherie sul fatto di diventare ricchi come l’Arabia Saudita e il Kuwait, delle fantasie che provengono dalla miseria e dall’esclusione, per questo motivo la gente chiede di guardare nelle tasche dei politici per vedere quanti soldi ci sono, è un loro diritto, mentre un ministro in carica non ha il diritto di dire semplicemente che non c’è il petrolio, lo deve provare.

Molto più importante sarebbe stata una campagna “Winouelmeh” (Dov’è l’acqua?)

Questo sì sarebbe un dibattito cruciale, oltretutto basato su dati e cifre conosciute che  permette di chiedere conto ai governanti dell’utilizzo dell’acqua.

Diversamente da qui, a livello internazionale, come sappiamo, la questione dell’accesso all’acqua è dibattuta un po’ ovunque. Chi, come me, sostiene che tale accesso debba essere gratuito, è decisamente in minoranza da un lato, dato che il diritto all’accesso all’acqua fa parte dei diritti sociali, non si vuole parlarne, dall’altro esiste un discorso ecologista dominante,in Tunisia come in Europa, che sostiene che la quantità dell’acqua sia limitata e quindi per limitarne l’uso occorre pagarne l’utilizzo. Questa posizione è condivisa persino dall’estrema sinistra qui, come in Francia, in parte anche in Italia e Spagna. Ma in nome della protezione della risorse idriche si rischia di commettere degli errori enormi, come se ne sono fatti in nome della protezione dell’ambiente contro l’inquinamento da idrocarburi, sottraendo terra e acqua alla produzione alimentare per la produzione della benzina verde. Si arriva a negare palesemente i diritti sociali. Adesso che gli ecologisti si sono accorti della fesseria che hanno combinato, si battono contro questa produzione, ma è troppo tardi, il mercato è partito, come si fa per fermare la produzione di mais per fare carburante?Il danno è fatto, chi si è fatto il suo business non può rinunciare ora ai suoi profitti, a cui il discorso errato degli ambientalisti ha dato una legittimità ecologista!

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Se è vero che l’acqua è una risorsa importante che va protetta e non sprecata, la tariffazione non riuscirebbe a evitarne lo spreco, ma aggraverebbe la frattura sociale, dato che ci saranno sempre persone che non avranno mai acqua a sufficienza e di qualità. Non potersi lavare significa, per esempio, non essere presentabili, non poter andare a fare un colloquio di lavoro e così si diventa invisibili socialmente. Chi ,invece, ha denaro a sufficienza, non avrà problemi a pagare una fattura di 40 dinari al mese ( circa 20 euro) per l’acqua.

In Tunisia il diritto all’acqua non è iscritto nella Costituzione, allora bisogna che almeno venga garantito da una legge che non si limiti a enunciare (il diritto all’acqua è un po’ come il diritto alla vita che tuttavia non impedisce il ricorso alla pena capitale!), ma che preveda anche la possibilità da parte dei cittadini di fare ricorso contro lo Stato, qualora tale diritto non venisse rispettato. In ogni caso, però, andrebbe definito un limite alla consumazione gratuita, ad esempio un massimo di 50 litri al giorno a persona che è una media credibile. Ma per ogni ogni litro di consumo ulteriore occorrerebbe applicare il prezzo di un litro di benzina: in questo modo sicuramente si eviterebbe lo spreco. Persino i ricchi ci penserebbero su prima di sprecare l’acqua, un rubinetto d’acqua aperto per un minuto significa molti litri !

Ho fatto lobbying in questo senso qualche tempo fa, senza molto successo poiché mi battevo da solo contro nemici molto potenti. In questo periodo incontrai Mohamed Brahmi (deputato del Fronte Popolare ucciso in un agguato il 25 luglio 2013 n.d.t.) a Sidi Bouzid in occasione di un dibattito, una persona molto gentile .Era apparso molto interessato al problema e avrebbe voluto formare un piccolo gruppo di pressione…la sua morte, che mi ha colpito profondamente, ha messo fine a questo nostro tentativo, purtroppo.

Tunisia in Red: In quali parti del paese sussiste questo tipo di problema?

Habib Ayeb: Certamente non a Sousse, Hammamet o a Monastir(zone turistiche per eccellenza n.d.t.) parliamo del grande Sud, del Sud politico, come lo definisco io, che parte dalla regione di Tabarka e arriva a Tataouine, passando per Sidi Bouzid, Gafsa ecc.e le regioni frontaliere, ma c’è anche un sud politico “di prossimità”, diciamo così, come i quartieri periferici di Tunisi di Saida Manoubia, Melassine o Hay Ettadhamen. Conosco una vedova a Saida Manoubia che, quando era vivo suo marito, aveva un bagno, dopo la sua morte, non avendo più entrate a sufficienza, ha distrutto tutto l’impianto idraulico, lasciando solo un rubinetto con un tubo di plastica, perché con tre figli che, specialmente d’estate, si vorrebbero fare la doccia troppo spesso, non avrebbe potuto pagare la bolletta. Quindi ha spaccato tutto, compreso lo scaldabagno e l’impianto di riscaldamento. D’inverno scalda una tinozza d’acqua costringendo i figli a lavarsi con quella quantità limitata d’acqua. E’ una povera donna, ma che riesce a ben gestire le spese famigliari anche in questo modo.

Ci sono interi villaggi in cui non esistono allacci all’acqua corrente, nonostante ci siano canalizzazioni che li attraversano, ma che servono unicamente a rifornire d’acqua altre zone ed è successo che gli abitanti abbiano distrutto queste gli impianti… per protestare contro questa situazione paradossale provocata da quello che definisco “il potere degli “esperti” che esiste dall’indipendenza e non è cambiato di una virgola ai nostri giorni. Un potere che non è neppure previdente dal punto di vista della sicurezza interna, dato che non riesce a capire che è normale che la gente si rivolti in questi casi. Sono gli esperti che decidono da sempre, su tutto, il petrolio, la salute, la scuola, le strade e ciascun politico ha il suo esercito di esperti.

Tunisia in Red: Perché non ci sono movimenti visibili per il diritto all’acqua, secondo te?

Habib Ayeb: Perché, non solo in Tunisia, ma a livello mondiale, il dibattito iniziato solo negli anni ’90 presenta un duplice aspetto, anzi triplice. Da una parte, esiste un discorso molto minoritario che afferma esserci acqua a sufficienza, che essa è un diritto e che tutti devono avere accesso all’acqua, senza condizioni, parliamo di un diritto vitale, non solo nel senso letterale, biologico del termine, ma anche sociale. Essere puliti, come ho già detto in precedenza, ti rende accettabile socialmente. Poi esistono altri 2 discorsi che paradossalmente sono politicamente opposti, ma che dicono la stessa cosa , quello liberale che afferma esserci una penuria in modo da creare un mercato e vendere l’acqua in bottiglia, cara per una famiglia tunisina e a volte anche per alcune famiglie europee. Per creare questo business, i liberali hanno bisogno di spaventare la gente dicendo che stiamo andando verso una catastrofe, che presto non ci sarà un litro d’acqua…quindi bisogna chiudere i rubinetti, ora ciò è totalmente falso…la semplice domanda “C’è acqua a sufficienza?”, per esempio in Tunisia non ha alcun senso. L’unica risposta sensata è “Dipende da cosa si vuole farne”. Se si vuole fare del giardinaggio in tutti i deserti del mondo, certamente non ci sarà mai acqua a sufficienza.

Se si vuole coltivare dell’orzo o del grano là dove è possibile, cioè produrre localmente ciò che le risorse permettono, ce n’è in abbondanza…

E poi c’è il discorso ecologista iniziato negli anni ’80 e ’90: da una parte si suona un campanello d’allarme dicendo che occorre fare attenzione, non sprecare l’acqua e dall’altra , come i liberali, si sostiene che l’acqua vada fatturata. Il paradosso è che dicono che non c’è acqua a sufficienza, ma sono loro che hanno incoraggiato e sostenuto la produzione del carburante vegetale! Il che significa che per non inquinare con il petrolio, ma soprattutto per impedire che l’Europa e in generale i paesi occidentali non siano dipendenti dal petrolio, si produce carburante utilizzando le piante, ma questi ambientalisti si sono dimenticati che i vegetali non crescono senza l’acqua… non si inquina il pianeta,però si consuma la risorsa idrica per qualcosa di cui si potrebbe fare a meno, se si cercassero altre alternative.

Tunisia in Red: Anche la tematica della sovranità alimentare non sembra destare interesse, eppure l’astuto Kissinger era solito dire “Chi controlla il petrolio, controlla le nazioni, chi controlla le forniture alimentari, controlla le persone”. In Tunisia vi  è la necessità di aggiustare il tiro, in particolare riguardo le politiche agricole. Come e perché?

Habib Ayeb:  Non credo sia un problema di controllo, forse per quanto riguarda il petrolio, ma non per le altre risorse. Di nuovo torniamo a una domanda elementare: chi ha diritto alle risorse? Quelli che hanno il denaro o coloro i quali debbono nutrirsi? Dopodiché, a partire dalla risposta che si da, si definisce il modello di sviluppo, la politica economica che si vuole mettere in opera e il rapporto con il resto del  mondo. . Durante il periodo post-coloniale, in Tunisia, il tipo di politica messo in opera consentiva a una determinata classe sociale di diventare più forte rispetto al periodo degli  anni’50 per mezzo del denaro. Le politiche di sviluppo non sono mai state concepite per migliorare il livello di vita della popolazione e si è si è sempre ragionato in termini di macro-economia: bisognava che il paese esportasse, bisognava che ci fosse denaro in circolazione e che si accumulasse e si è continuato in questa direzione fino ai nostri giorni. Però per farlo bisognava contare su una élite sociale (non si parla di classe, sarebbe blasfemo!, si parla di élite), gli investitori, gli esperti, della gente beneducata, non dei politici.Per aumentare la massa di valuta pregiata del paese bisogna esportare, ma che  cosa?La Tunisia non fabbrica aeroplani, invece è un paese agricolo, perciò si decise in questo senso. Questa politica non ha mai concepito il concetto di “risorsa”, di conseguenza neanche il diritto di accesso alla risorsa, qualunque essa fosse. Nella migliore delle ipotesi le priorità sono state le entrate di valuta, la crescita economica e la sicurezza alimentare, non la sovranità alimentare. Fra le due definizioni vi è una differenza enorme. Cos’è la sicurezza alimentare? E’ un concetto macro, generale: lo Stato globalmente deve avere a disposizione una determinata quantità di prodotti destinati all’alimentazione che corrisponda alla totalità del fabbisogno della popolazione. Ad esempio, necessitano 2 milioni di tonnellate di grano e allora bisogna che lo Stato si organizzi per averli, qualunque sia il modo (produzione, acquisto o donazione). Ma ciò non significa automaticamente che ciascun cittadino riceva una razione alimentare sufficiente in termini di volume, qualità e contenuto calorico.In Tunisia, nonostante sussistano casi di malnutrizione, non esistono problemi di carestia. Nel 2008 però ci siamo andati vicino, abbiamo rischiato di non avere scorte alimentari a sufficienza, in particolare di farina  e ciò a causa dell’aumento vertiginoso del prezzo dei cereali. Quando improvvisamente la Tunisia si è trovata a non poterne acquistare ed essendo considerata  (sfortunatamente)  un paese sviluppato, nessuno voleva fornirle aiuto. Invece negli anni’50 questo genere di aiuti arrivava, io ci sono cresciuto, il mio villaggio e la mia famiglia ricevevano la farina dal PAM (il programma alimentare mondiale) e degli aiuti da parte degli USA. Quindi il discorso della sicurezza alimentare non basta.

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Io credo che se producessimo il grano, l’orzo, il mais, la verdura, la frutta a livello locale, invece dell”uva nel mese di aprile o maggio, invece di produrre fiori o fragole a dicembre per poi destinarli all’export, avremmo una vera sovranità alimentare, potremmo nutrire la popolazione tunisina soltanto con quello che si produce a livello locale. Invece si è adottata la tecnica “vendo delle arance per importare grano”,  una politica agricola che ha devastato, ad esempio, la regione del Cap Bon dove le falde freatiche sono totalmente svuotate, riempite ora dall’acqua del mare e dove si continua a produrre arance e mandarini, sfruttando l’acqua del Nord-Ovest e  privando, anche qui, la popolazione locale di questa vitale risorsa per produrre arance e mandarini nel Cap Bon destinati all’esportazione. Inoltre si spende  una quantità incredibile di denaro per canalizzare e stoccare l’acqua, poi la si getta nella falda perché non allaghi tutto e chi trae profitto da questo spreco? Quelli a cui piacciono le arance in Europa e nei paesi del Golfo. A chi va il denaro?Certamente non al contadino del luogo, bensì agli investitori che di sicuro non provengono da famiglie povere, ma dalle classi dominanti. Quell’acqua è nostra,  ne abbiamo bisogno per bere e lavarci e coltivare i prodotti locali e stagionali. A Sidi Bouzid si va a cercare l’acqua in profondità per coltivare prodotti che non servono localmente, tutto questo ancora per l’esportazione! Così avviene a Sajnen e a Bou Salem. E’ incredibile come Sidi Bouzid, che ha mantenuto il livello di crescita più alto dal 1990 fino ad ora,divenendo  la prima regione agricola della Tunisia, sia, allo stesso tempo, il terzo governatorato più povero della Tunisia! Questo poiché  gli abitanti della regione non ricavano nessun profitto da questa crescita agricola, ma neppure La Tunisia, solo pochi imprenditori che si riempono le tasche di denaro. Questo fenomeno nelle scienze sociali è chiamato “accumulazione tramite espropriazione” e da noi accade, come già ho detto, che il 20% della popolazione “espropria” il rimanente 80%. Possiamo definirlo  sviluppo?Purtroppo in una situazione di dominio del mercato e nonostante la formidabile e rinomata capacità di negoziare dei tunisini, non solo ci è stato imposto di importare prodotti di cui non abbiamo bisogno, ma abbiamo anche dovuto subire limiti di accesso al mercato europeo. Il governo può solo intervenire sulle politiche nazionali reprimendo, ad esempio i manifestanti da una parte o sottraendo le risorse idriche a una regione dall’altra.

Purtroppo abbiamo già perduto 4 anni, parlando di ogni genere di tematiche, ma mai di quelle che io ritengo fondamentali. Teniamo presente che l’agricoltura rappresenta il 16% del PIL (più del doppio delle attività turistiche). Eppure la settimana scorsa si parlava dei diritti degli omosessuali in Tunisia, va benissimo, ne ricavo una sorta di fierezza, ma ritengo incredibile che si sia trovato il tempo di parlare di tutta una serie di questioni, l’identità, le minoranze e gli omosessuali, senza mai affrontare il problema di come riempire lo stomaco di 12 milioni di persone. E’ una follia, c’è qualcosa che non va e, secondo me, ciò dipende da una sorta di malattia del paese, non saprei come definirla diversamente.

Tunisia in Red: quanto è sviluppato nel paese il concetto di bene comune?

Habib Ayeb: Il bene comune esisteva, ad esempio a Sidi Bouzid prima dello sviluppo agricolo.
E io da bambino non conoscevo la parola, ma sapevo di cosa si trattasse. Sapevo perfettamente che l’acqua non mi apparteneva, ma che era un bene comune. C’è una frase di mio padre che spesso cito nelle mie conferenze : “Possediamo solo quello che possiamo condividere”, quello che non si può condividere non ha alcun valore. Nelle società tradizionali che esistono ancora in certe regioni dove regna  lo spirito delle “grandi famiglie”,  se vediamo qualcuno che spreca dell’acqua, interveniamo. Invece tutto il sistema attualmente funziona contro la nozione di bene comune. Ci sono quelli che ignorano completamente questa nozione e vi sono altri che la traducono in “beni in comune” che non è affatto la stessa cosa. Un pacchetto di sigarette che abbiamo qui noi tre è un bene in comune, se viene qualcuno a prenderne una gli diciamo di no. Il petrolio, l’acqua, e anche i fosfati appartengono a noi tutti, al paese, sono un bene comune ancora una volta torniamo al discorso dei   in questo caso  collettivi. E il sistema liberale, per definizione, è contro la nozione di bene comune, guardiamo quello che è successo a Sidi Bouzid: lo stesso Mohamed Bouaziz (il giovane ambulante che si è immolato il 17 dicembre 2010, innescando la rivoluzione tunisina n.d.t.) veniva da una famiglia che aveva  perduto della terra, così come buona parte della popolazione della regione. Le terre non appartengono neanche più allo Stato come un tempo, adesso chiunque può acquistare e scavare in profondità per trovare l’acqua e chi che ha deciso questo? Certamente non la popolazione, ma ancora una volta gli “esperti”.

La prima parte dell’intervista è uscita il 24 giugno 2015:  http://www.tunisiainred.org/tir/?p=5446

Intervista a cura della Redazione di Tunisia in Red. Traduzione dal francese e adattamento a cura di Patrizia Mancini