Democrazia, un orizzonte impossibile per i paesi arabi?

Illustration : Betty Bone pour Télérama

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Jean-Pierre Filiu

(intervista a cura di Olivier Pascal-Moussellard )

Un nuovo mondo arabo sta nascendo sotto i nostri occhi – nel frastuono, nella rabbia e nel sangue. La sua storia è legata alla nostra, dalla spedizione egiziana di Napoleone (1798). Una storia fatta di brutalità, di promesse tradite e di manipolazioni. Gli orrori di oggi sarebbero quindi soltanto la continuazione logica di quelli di ieri? Solo in parte, perché in parallelo si è sviluppata un’altra storia a partire dal XIX secolo, quella dell’ “illuminismo arabo” – la Nahda –, fatta di emancipazione politica e intellettuale.

Jean-Pierre Filiu, docente di “Storia del Medio Oriente contemporaneo a Sciences Po (Institut d’études politiques) di Parigi, la racconta in un libro impegnato e affascinante, “Les Arabes, leur destin et le nôtre”.

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Cos’è il mondo arabo nel 1800?

E’ un territorio privo di sovranità, soggetto all’autorità formale dell’Impero ottomano, tranne nei regni del Marocco, dello Yemen e dell’Oman. In termini di popolazione, i circa cinque milioni di arabi, di cui quattro solo in Egitto, sono in inferiorità numerica rispetto ai francesi. La megalopoli del Cairo può essere paragonata a Costantinopoli, mentre Tunisi, Damasco e Aleppo contano circa centomila abitanti.

Come viene si definisce l’identità araba?

All’epoca l’affermazione dell’arabismo non era ancora avvenuta, ci si identificava principalmente come musulmani. Eppure, il XIX secolo ha visto lo sviluppo di un Rinascimento arabo, Nahda, secondo un processo simile a quello che l’Europa ha sperimentato durante l’Illuminismo e, in seguito, l’emergere dei nazionalismi. Un’élite illuminata si è affermata come araba in contrapposizione alla dominazione ottomana, percepita come decadente e oppressiva e contro l’intervento occidentale – segnato dalla spedizione d’Egitto (1798) e dall’occupazione dell’Algeria (dal 1830). Alcune dinastie modernizzatrici hanno imposto la loro sovranità, in Tunisia e in Egitto, concentrandosi sullo Stato (nelle sue funzioni sovrane) e sulla Costituzione (fondatrice del patto sociale in Tunisia). Questi due paesi diventeranno i pilastri della Nahda.

Quali ruoli svolgono il nazionalismo e l’islamismo in questa emancipazione?

Nel XIX secolo, queste categorie che oggi ci vengono presentate come distinte,o addirittura incompatibili, sono estremamente fluide. Si poteva essere un nazionalista arabo e allo stesso tempo brandire la torcia dell’islam contro i Turchi, rappresentati come “cattivi musulmani”. E gli arabi cristiani, allora in una fase di espansione demografica che è difficile da immaginare ai giorni nostri – mettevano al mondo più figli dei musulmani – a volte sostengono il profeta Mohammed come un campione di arabismo!

La prima guerra mondiale ha segnato un punto di svolta in questo Rinascimento?

Approfittando del conflitto, queste correnti islamiste e nazionaliste convergono nella persona del governatore della Mecca (scelto dagli ottomani), il principe Hussein. Si tratta di un discendente del Profeta, nella linea meno controversa, quella degli Hashemiti. Ed è lui stesso che guida la “Rivolta araba” contro l’Impero Ottomano, in alleanza con i francesi e i britannici che gli hanno promesso la creazione di un regno arabo indipendente … e che calpesteranno questa alleanza. Per gli arabi è una tripla umiliazione. Sono andati in guerra come alleati, vengono trattati da ausiliari (persino il famoso Lawrence pretendeva insegnare loro la guerriglia!). Come se non bastasse, la menzogna: le potenze europee, una volta fatta la loro promessa a Hussein, si sono segretamente messe d’accordo per dividersi il Medio Oriente a sue spese. Peggio ancora, i britannici hanno promesso ai sionisti di creare una patria ebraica in Palestina! Non si sarebbe potuto fare di più per essere sicuri di alienarsi le élites arabe…

Questo ha rappresentato una battuta d’arresto per la Nahda?

Questo tradimento degli alleati nei confronti di Hussein porterà all’instaurazione dei mandati in Siria e Libano, Palestina e in Iraq, capolavoro del paternalismo coloniale. Qui si parla di Damasco, di Aleppo, e di Bagdad – le città che hanno dato vita alla civiltà, in termini di organizzazione sociale, di scrittura o di commercio! L’idea che una potenza europea pretendesse di insegnare loro a essere un paese civile rappresentò un nuovo affronto per gli arabi. Tanto più che essi si erano adattati alle regole del gioco democratico con l’organizzazione di elezioni, nell’elaborazione di una Costituzione, in breve nel rivendicare l’autodeterminazione promossa dalla stessa Europa. Come rispondere a quest’ultima? Inviando delle truppe per garantire la loro sottomissione. E’ stato a quel punto che abbiamo perso gli arabi – o almeno quelli che, fedeli alla nahda, speravano di liberarsi.

Il tradimento contro Hussein ha anche aperto la strada dalla Mecca alla famiglia saudita…

Cioè all’unica forza araba di allora che era refrattaria nei confronti del Nahda – i wahhabiti. Le potenze europee, in questo modo, hanno offerto una legittimità inaspettata ai fautori di un islam rigorista … anche se non vi è alcuna traccia dei sauditi nella storia delle  gesta del Profeta. Tuttavia, il patto “wahhabita”, istituito nel 1744 tra il predicatore Mohamed Abdelwahhab e i sauditi è l’alleanza della spada e dello spirito, un’unione inedita per il mondo arabo nel quale mai nessuna tribù e un personaggio religioso si erano uniti per creare uno Stato. Questo viene fatto con la fondazione, nel 1932, dell’Arabia Saudita, l’unico paese al mondo in cui cittadini sono designati con il nome della dinastia regnante …

Questi fallimenti mettono fine alla Nahda …

Nei fatti la stampa, il commercio, l’istruzione continuano a espandersi, e la diaspora araba a muoversi verso l’Europa e il Nord America … Per quanto riguarda l’effervescenza politica, alcuni partiti del periodo fra le due guerre, come il Destour in Tunisia, il Wafd in Egitto e i partiti nazionalisti in Siria e, in misura minore, in Iraq e in Libano, prolungano lo spirito della Nahda. Purtroppo, queste élites nazionaliste, osteggiate dalle potenze europee nel far accedere i loro paesi alla piena sovranità, saranno presto denunciate da nuovi partiti più moderni e radicali, che li accuseranno di essersi schierati con gli occupanti. E questa escalation nazionalista prenderà spesso le forme dell’islamismo. Per i Fratelli Musulmani, apparsi nel 1928, bisogna quindi mobilitare la nazione araba e islamica contro l’élite “corrotta” del Wafd. Troviamo la stessa denuncia delle élite nel neo-Destour di Bourguiba, nel partito dei Baath in Siria, e nei partiti comunisti che si andranno formando in seguito. Tutti questi partiti sono autoritari, adottano strutture leniniste e si nutrono della fine dei mandati europei e della Nakba – la “catastrofe”, come è stata chiamata la creazione dello stato ebraico e l’esodo palestinese nel 1948. L’indipendenza, duramente conquistata dalla Siria, nel 1946, viene anch’essa snaturata, tre anni più tardi, da un putsch da parte del Capo di stato maggiore, preludio di una diffusa diversione delle indipendenze arabe da parte di dittature militarizzate.

Che ruolo ha avuto la creazione di Israele negli sviluppi successivi?

A mio avviso, la Nakba ha il suo posto, ma nient’altro che questo, all’interno dei mali del mondo arabo. Al tradimento delle legittime aspirazioni degli arabi alla fine della Prima guerra mondiale, è stato effettivamente aggiunto l’abbandono della popolazione araba della Palestina – una delle più istruite e addirittura occidentalizzate della regione – trasformata in un non-popolo, in un agglomerato di rifugiati. Questa negazione del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione è una questione che riguarda anche le cricche militari arabe che utilizzano la “causa palestinese” per il loro esclusivo profitto. La cosa importante per loro è rimanere “connessi” a un sistema internazionale che garantisca loro rendita finanziaria e forniture di armi, che siano pro-Washington e in pace con Israele, come l’Egitto dal 1979, o pro-Mosca e “ostili” a Israele, come la Siria di Assad. Per decenni, la Palestina sarà quindi negata da Israele e manipolata dai suoi “alleati” arabi.

Il terrorismo islamista non contesta la sottomissione delle cricche militari agli interessi occidentali?

Da nessuna parte i jihadisti sono un’alternativa degna di questo nome. La linea di demarcazione nel mondo arabo passa tra coloro che riconoscono il popolo come fonte di sovranità e coloro che rifiutano questo concetto. Ci sono islamisti, nazionalisti e laici su entrambi i lati. Sia il Presidente Sissi in Egitto che il capo dell’Isis Baghdadi, non hanno alcun rispetto per la sovranità popolare – d’altronde, entrambi hanno scatenato attacchi terribili contro ogni forma di contestazione. Il vero problema per i paesi occidentali non è scegliere tra un dittatore e dei terroristi, ma sostenere l’instaurazione della democrazia nel mondo arabo. Se noi diciamo “tutto tranne Isis”, a rischio di sostenere i tiranni, avremo Isis alla decima potenza.

Cosa sono queste tensioni tra sciiti e sunniti che oggi logorano il mondo arabo?

Lo storico è tenuto a mantenere una netta distinzione tra la realtà delle tensioni confessionali e la supposta “eternità”del loro carattere. Queste tensioni esistono, ma affermare che ci sarebbe stata una guerra tra sciiti e sunniti sin dagli albori dell’islam e fare di questo rivalità religiosa la chiave di lettura del Medio Oriente contemporaneo, rende il dibattito confuso, invece di chiarirlo. Ci sono stati momenti di concordia, altri in cui i sunniti si sono massacrati fra loro … in breve, dobbiamo tornare alla Storia, e riconsiderare, alla sua luce, la questione del potere in questi paesi. I jihadisti, come i dittatori, hanno lo stesso interesse a non farci comprendere più nulla di quello che sta accadendo nel mondo arabo. Ma oggi, per i paesi europei, ci sono due questioni cruciali per capire meglio questa regione: le migrazioni e il terrorismo. Bashar al-Assad e gli altri sono delle macchine per la produzione del jihadismo e dei rifugiati: nutrono cinicamente il jihad per apparire agli occhi dell’Occidente come baluardo contro l’islam radicale. Di conseguenza, è necessario prevedere la ricostruzione di un ordine giusto e democratico in quei luoghi, altrimenti pagheremo qui da noi il prezzo tali problemi. Questa non è un’utopia: il movimento di liberazione degli arabi è un maremoto. Cercando di ostacolarlo, non si fa altro che alimentare l’incubo che da loro dura da anni, ma che senza dubbio domani può diventare il nostro.

Traduzione dal francese a cura di Alice Bondì

l’intervista originale è apparsa il 10 settembre 2015 su Telerama.fr

http://www.telerama.fr/idees/la-democratie-un-horizon-impossible-pour-les-pays-arabes,130910.php