Gli archivi della dittatura: una questione ancora aperta

immagine tratta da http://www.rtci.tn/linstance-verite-dignite-se-penche-perception-tunisiens-legard-justice-transitionnelle/

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Lilia Blaise

Negli angoli degli Archivi Nazionali a Tunisi, fra gli innumerevoli documenti da stralciare, inviati quotidianamente dai ministeri e dall’amministrazione, in aggiunta ai 20.000 chilometri di archivi, due giovani, una ragazza e un ragazzo, stanno leggendo in silenzio. Non ripassano per un esame e nemmeno si dedicano alla loro tesi. In pieno mese di luglio 2015 questi due giovani stanno consultando gli archivi dell’RCD, il vecchio partito del dittatore Ben Alì. Lavorano per conto dell’Instance Verité et Dignité (1)

Non potete parlare con loro senza l’accordo dell’Istanza, ma come vedete, stanno lavorando duramente” sussurra Hedi Jalleb, il direttore degli Archivi nazionali. In un’altra stanza portano dei cartoni ad altri giovani che aprono con precauzione classificatori e dossier. Su uno dei pacchi squarciati si può leggere a grandi lettere, tracciate con pennarello nero, “ATCE”, il nome della vecchia agenzia di propaganda mediatica di Ben Alì. Neanche il tempo di spiare un po’ di più che la porta si richiude. Quanto si scoprirà a seguito di queste ricerche servirà a completare, verificare o provare il contenuto dei 16.500 dossier (aggiornamento al 2 ottobre 2015) di denuncia che sono stati depositati presso l’Istanza Verità et Dignità (IDV). In alcuni casi permetteranno anche alla stessa Istanza di deliberare direttamente sulle questioni che non hanno necessariamente a che fare con il penale (commissione di arbitraggio, per esempio). Il lavoro è appena cominciato, sarà lungo e arduo.

Oggi bisogna consultare tutto, è come cercare un ago in un pagliaio per ricostruire il puzzle della dittatura. L’IDV lavora con l’aiuto degli archivisti dell’Archivio Nazionale, ma poi bisognerà confermare le informazioni trovate, un archivio non è la prova scritta nero su bianco di un crimine o di un episodio di corruzione. commenta Hédi Jalleb.

Per Narges Dabech, incaricato per gli archivi presso l’IDV, la cosa più difficile al momento rimane il periodo temporale che l’IDV dovrà coprire durante il suo mandato di 4 anni : più di un mezzo secolo.

“Gli archivi prodotti durante questo periodo, che supera i 58 anni ,rappresentano chilometri e chilometri di documenti. C’è da notare anche il disordine in cui si trovano questi archivi, un disordine voluto da chi li curava al fine di camuffare alcune realtà e questo è un ulteriore elemento che rende il compito difficile”

La questione degli archivi della polizia politica

Eppure è proprio su questo lavoro minuzioso che si edifica uno dei pilastri del lavoro sulla memoria e sulla giustizia in Tunisia.

Per meglio comprendere il cantiere messo in opera sugli archivi della dittatura in Tunisia, bisogna risalire a quatto anni fa, poco dopo la rivoluzione, quando, nello spazio chiuso del teatro “El Teatro” a Tunisi, Farah Hached, presidentessa dell’associazione “Le Labo démocratique”, organizza un incontro inedito sulla problematica degli archivi, in particolare quella relativa agli archivi della polizia politica

All’epoca, in questo spazio ovattato dall’aspetto di sala cinematografica, si parlava della polizia politica come uno dei grandi misteri non risolti della dittatura. ……………………

Ognuno parla liberamente sulla questione, per la prima volta le lingue si sciolgono. Ma gli archivi sono impalpabili, nessuno conosce o vuole rivelare il luogo in cui si trovano, nessuno ne sa valutare l’ampiezza. Essi sono il simbolo di uno degli ingranaggi del funzionamento del regime di Ben Alì, soprattutto del sistema parallelo messo in opera per spiare e perseguitare gli oppositori.

Noi avevamo realizzato un documentario, Memory at risk, per aprire il dibattito, all’epoca non avevamo alcuna base di riferimento per parlare di questa questione, bisognava che le persone intervistate, militanti politici o appartenenti ad associazioni, spiegassero concretamente cosa fosse la polizia politica” , testimonia il giornalista Thameur Mekki, coproduttore del documentario insieme al Labo démocratique…

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Bisogna capire che ci sono diversi tipi di archivi, così come sotto Ben Alì c’erano due tipi di reti di informatori: la catena di informatori del partito (RCD) e la catena di informatori dell’apparato statale che risaliva fino al Presidente. Il concetto di Stato -Partito è solo un prodotto dell’immaginazione in realtà di trattava di due cose ben distinte. Ben Alì manteneva le informazioni ben ripartite e accentrava tutto per timore che il partito prevalesse. Il modello è un po’ quello della tela del ragno” commenta Farah Hached

Tracts électoral du président Ben Ali, siège du RCD à Sfax 2014. Crédit : Amine Boufaied, tirée du documentaire “7 vies”.

Volantini elettorali del presidente Ben Alì nella sede dell’RCD a Sfax, 2014. Crédit : Amine Boufaied,tratto dal documentario “7 vies”. Da Inkyfada

La questione degli archivi detti “sensibili”

All’indomani del 14 gennaio 2011 gli archivi della presidenza vengono saccheggiati, così come il locale dell’RCD in Francia. Senza contare i diversi locali del partito che sono stati bruciati o gli scatoloni portati fuori nottetempo da alcuni tribunali.

Ci sono stati anche 13 tribunali e alcuni locali ed esattorie bruciati, 300 fra commissariati e municipi incendiati. Ma in questi luoghi non ci sono state veramente delle perdite notevoli a livello di archivi, poiché tutto era raggruppato nei ministeri e centralizzato.”

Per Hédi Jalleb, la cosa più difficile oggi è stabilire cosa sia un archivio della polizia politica.

“Un archivio è rappresentato da quanto viene prodotto da un funzionario nell’esercizio delle sue funzioni. La maggior parte dei controlli, degli atti di corruzione e le aberrazioni poliziesche non venivano registrate nel vero senso del termine o descritte tali e quali su pezzi di carta”

A questo proposito le versioni divergono. Alcuni sopravvissuti alla tortura come Rached Jaidane hanno più volte testimoniato sui metodi dei loro carnefici:

“Un medico redigeva un falso certificato di decesso in cui si attestava la nostra morte, era un metodo per farci pressione “ Che fine hanno fatto questi fogli? Esisteva un inventario dei registri e degli altri documenti che attestino la pratica della tortura in Tunisia?Ancora oggi è difficile saperlo.”

Un classico esempio di “prova” dell’esistenza di archivi della polizia politica rimane il video dell’ex ministro degli Interni (2) del partito islamista Ennahdha Alì Larrayedh, trapelato su Internet nel gennaio 2012, quando egli era in carica. Questo video è stato girato nel 1991 mentre Larrayed era in prigione, lo mostra mentre ha rapporti omosessuali con un altro prigioniero. Questo genere di video erano prodotti dal regime, poi inviati a più persone al fine di discreditare gli oppositori politici e venivano diffusi appositamente, tramite giornali propagandistici, per creare lo scandalo. Secondo un vecchio oppositore di Ben Alì, Ahmed Manai, si trattava della cosiddetta “politica del porno”

La diffusione di questo video dopo vent’anni, nel momento in cui Alì Larrayed minacciava d’arresto alcuni notabili del Ministero degli Interni, ha dimostrato l’esistenza di una “base” di archivi della polizia politica che di proposito è stata conservata per essere utilizzata come mezzo di pressione o di ricatto politico.

Nel maggio 2011 un ex alto funzionario del Ministero degli Interni, Samir Feriani, viene arrestato dopo aver rivelato in un articolo i movimenti sospetti di alcuni quadri del Ministero durante i primi mesi della rivoluzione. 29 capi d’accusa, più di cinque mesi di carcere e un processo molto mediatizzato contro una delle prime persone ad aver rotto l’omertà del Ministero degli Interni. Feriani aveva dichiarato, tra l’altro che “certi archivi erano stati bruciati” tra questi gli archivi relativi all’OLP (3)

Samir Feriani

Samir Feriani

Parigi, luglio 2011: un’avvocatessa e un attivista dicono di aver recuperato una serie di documenti che dimostrerebbero che giornalisti e oppositori di Ben Alì erano sorvegliati. ………….. Che fine hanno fatto quei documenti oggi? E l’avvocatessa e l’attivista di cui si sono perse le tracce?

Nel dicembre 2013 l’allora presidente della Repubblica Moncef Marzouki decide di pubblicare un libro “nero” in cui si fanno i nomi, recuperati dagli archivi della presidenza, di persone implicate con la dittatura e la sua propaganda. Questa azione, che ha l’aria di un regolamento di conti, rimette al centro del dibattito pubblico la questione della giustizia di transizione Oggi, malgrado la promulgazione di una legge e la messa in opera di una istituzione per la giustizia di transizione, l’apertura degli archivi “sensibili” si fa ancora attendere.

In questo contesto in cui nulla garantisce la salvaguardia degli archivi della dittatura, il dibattito si concentra dunque sull’urgenza di aprire quelli ancora esistenti per fare luce su crimini del passato e ristabilire una certa verità.

In base alla legge sulla giustizia di transizione l’Instance Verité et Dignité avrebbe dovuto poter prendere in carico questo spinoso dossier. Ora vi è forte resistenza da parte dei Ministeri e da parte della Presidenza della Repubblica che sarebbe in possesso di più di 15,000 archivi.

Per il cittadino comune è a tutt’oggi impossibile accedere agli archivi per una controversia sulla interpretazione dei regolamenti fra il personale e il direttore degli archivi nazionali e perché non sono state modificate le leggi vigenti sotto la dittatura. Al momento, dunque, solo l’Instance Verité et Dignité può accedervi, lavorando in totale libertà secondo l’articolo 40 della legge sulla giustizia di transizione. “ Per adempiere la sua missione, l’Instance è dotata delle seguenti attribuzioni: accesso agli archivi pubblici e privati, a prescindere da tutte le interdizioni previste dalla legislazione in vigore”

Ma la legittimità dell’IDV, definita dalla legge, sembra non essere sufficiente ad aggirare le resistenze di alcuni. In un documento sulla giustizia di transizione la Presidentessa dell’IDV Sihem Ben Sedrine aveva confidato di incontrare ancora certe difficoltà in alcuni Ministeri “Dal nuovo Ministro degli Interni la porta è sbarrata. L’argomento della sicurezza e della lotta al terrorismo è il pretesto per chiudere l’accesso a tutto”

immagine tratta da http://www.rtci.tn/linstance-verite-dignite-se-penche-perception-tunisiens-legard-justice-transitionnelle/

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Per Narges Dabech, poter accedere ai documenti degli archivi nazionali costituisce già una opportunità che serve a poter cominciare le ricerche

Le violazioni dei diritti umani non riguardano soltanto la tortura o gli stupri, ma anche le violazioni al diritto di libertà d’espressione, al diritto al sapere o al diritto di proprietà. Per questo motivo si può trovare ciò che si cerca in archivi diversi da quelli del Ministero degli Interni.”

Hedi Jalleb ci conferma anche di non ricevere sempre, presso gli archivi nazionali, tutti i documenti che si producono. “Il Ministero della Giustizia consegna delle cose come i registri dei notai o di stato civile, ma niente sulle questioni politiche. Così come il Ministero degli Interni che ci manda degli archivi amministrativi e nient’altro.”

Il rischio della strumentalizzazione

Tali difficoltà vanno ad aggiungersi all’attualità tunisina, nel dibattito fra chi ritiene vi sia bisogno di chiudere con il passato per mezzo di un progetto di legge di riconciliazione nazionale e chi invece spinge per la necessità di giustizia. Per Thameur Mekki, il problema non è tanto quello di sensibilizzare, quanto di fare attenzione alla strumentalizzazione degli archivi.

Abbiamo visto sia con il libro nero di Marzouki che tramite le persone intervistate nel documentario Memory at risk, come le tracce disseminate dalla dittatura fossero spesso depistaggi predisposti con archivi manipolati in modo da organizzare “false fughe di notizie” sul tale o la tale. Per questo motivo il lavoro di verifica e di controllo incrociato è importantissimo, cosa di cui i media tunisini non necessariamente tengono conto.”

Per quanto riguarda altri organismi come l’Agenzia Tunisina d’Internet (ATI) forse non riveleranno mai i loro segreti, poiché la sorveglianza cibernetica non era “archiviata” nel vero senso del termine. La Televisione Nazionale è l’altro importante luogo in cui si trovano archivi: essa detiene tutti i diritti sui telegiornali e su altre trasmissioni andate in onda da quando è stata creata.

La sfida degli archivi rimane dunque importante per la Tunisia, come lo è stata per altri paesi come la Polonia o la Germania che hanno messo in opera dei procedimenti per l’utilizzazione degli archivi, sia per per far conoscere meglio al pubblico i meccanismi della vecchia polizia segreta (Germania), sia per informare sul passato di un cittadino che desideri, per esempio, presentarsi in un partito , attraverso la procedura della“lustrazione”(Polonia). Altri paesi come il Guatemala o il Paraguay hanno ottenuto l’apertura degli archivi grazie ad azioni cittadine e degli attivisti.

In Tunisia uno dei pochi avanzamenti in questo senso, a parte la costituzione dell’Instance Verité et Dignité, rimane l’articolo 32 della costituzione e il decreto n. 41 del 26 maggio 2011 relativo all’accesso all’informazione. Ma questo decreto è parzialmente rimesso in causa nel nuovo progetto di legge sull’accesso all’informazione in corso di discussione in Parlamento …………., specialmente nelle numerose eccezioni previste dalla legge e in cui questo diritto non si applica.

La domanda che ci si pone oggi, mettendo da parte l’analisi degli archivi da parte dell’IDV, è la seguente: può un cittadino tunisino chiedere di accedere al proprio dossier dei servizi speciali dell’epoca del vecchio regime, se le informazioni ivi contenute non riguardano la sicurezza nazionale?In caso di rifiuto o in assenza di risposta, può utilizzare il decreto legge di accesso all’informazione per far ricorso al tribunale amministrativo e accedere al suo dossier? Quale potrebbe essere la decisione del tribunale?Al momento queste domande rimangono aperte” conclude Farah Hached.

A cinque anni dalla rivoluzione l’apertura degli archivi appare ancora come un soggetto tabù in Tunisia. Altri credono nel processo della giustizia di transizione, come la famiglia di Salah Karker, uno dei fondatori di Ennahdha,  che ha vissuto in esilio in Francia per oltre di vent’anni.

La famiglia di Salah Karker, deceduto nel 2012, ha preparato un dossier per l’IDV. Per suo figlio Amin che risiede in Francia, l’accesso agli archivi è uno dei punti fondamentali per la memoria.

«Abbiamo voluto presentare un dossier perché pensiamo che il caso di nostro padre sia simbolico, che debba essere esaminato per onorare la sua memoria, ma anche per le migliaia di vittime che non hanno potuto farlo o i cui dossier non avranno seguito. Perché è proprio lo scopo di questo lavoro, conservare una memoria nazionale e fare in modo che gli orrori della dittatura che queste migliaia di vittime hanno subito per le loro opinioni politiche non si riproducano mai più nel futuro”

NOTE:

  1.  La legge sulla giustizia transizionale è stata promulgata il 14 dicembre 2013 dall’Assemblea Nazionale Costituente, in base alle sue disposizioni è stata creata l’Instance Verité et Dignité che è preposta a raccogliere le testimonianze delle vittime della repressione dal 1955 alla data di promulgazione della legge. Inoltre, dovrà quantificare gli indennizzi da versare a chi ha subito abusi e violenze durante la dittatura di Bourghiba e Ben Alì.

  2. Alì Larrayed è stato Ministro degli Interni dal dicembre 2011 al febbraio 2013.

  3. L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina aveva spostato la sua sede dal Libano alla Tunisia nel 1982, a seguito dell’operazione israeliana denominata “Pace in Galilea”. Nel 1985 Israele bombardò il quartiere generale dell’OLP a Hammam Chott, uccidendo 68 persone fra cui 18 tunisini.

 

Traduzione dal francese e adattamento a cura di Patrizia Mancini

la versione originale e integrale dell’articolo è stata pubblicata il 10 ottobre 2015 sul sito inkyfada.com

Link all’articolo originale: https://inkyfada.com/2015/10/archives-chantier-justice-transitionnelle-rcd-tunisie/