La Tunisia saprà ascoltare la voce delle sue vittime?

tunisia-revolution-ben-ali-politics-15012011Olfa Belhassine

Dopo averla più volte rimandata, l’Instance Verité et Dignité, resa operativa ufficialmente il 9 giugno 2014, terrà finalmente la sua prima audizione pubblica delle vittime il prossimo 18 novembre. Tuttavia questo momento cruciale del percorso della giustizia di transizione può incorrere in tre rischi principali.

L’evento del prossimo 18 novembre verrà trasmesso da tutte le televisioni tunisine, in lieve differita. Sarà la stessa IVD che darà il segnale ai canali che vorranno trasmettere questo programma. Le vittime e i testimoni, dopo essere stati assistiti dalle equipes dell’Instance, parleranno a viso scoperto delle diverse violazioni che hanno veduto e subito. Le loro parole e verità saranno utili a far conoscere una parte oscura della storia della Tunisia e a stimolare un dibattito a livello della intera società, elemento necessario in un percorso di riconciliazione. La seduta inuaugurale vedrà la presenza di molte personalità straniere, fra cui Kofi Annan, ex Segretario Generale dellONU e Palo de Greiff, relatore speciale delle Nazioni Unite per la promozione delle verità, della giustizia, per la riparazione e le garanzie di non ripetizione. I tre presidenti tunisini, cioè il capo dello Stato, il primo ministro e il presidente dell’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo (ARP, il Parlamento tunisino n.d.t.) sono già stati invitati. Così come alcuni membri di alcune delle quarantatré “commissioni Verità” che, prima della Tunisia, sono passate attraverso l’esperienza degli interrogatori, della messa in luce e della memorizzazione di un pesante passato di violazioni.Tuttavia, l’evento, molto atteso dalle organizzazioni umanitarie e dalle associazioni delle vittime, sopraggiunge in un clima di tensione. Sihem Bensedrine, che presiede la commissione verità, da molte settimane è bersaglio di attacchi quotidiani da parte dei media locali, a seguito, fra l’altro, dell’allontanamento dal consiglio dell’IVD dei commissari Lilia Bouguira e Mustapha Baâzaoui “a causa delle loro frequenti assenze ingiustificate alle riunioni del consiglio”, secondo i termini dell’IVD. La stessa Istanza che ormai funziona con 9 membri su 15 , dopo le dimissioni di tre commissari- è lungi da fare unanimità. In particolare nel cerchio vicino al presidente della repubblica, Béji Caied Essebsi, promotore dell’iniziativa legislativa relativa alla riconciliazione economica e finanziaria, e che rischia lui stesso di trovarsi di fronte ad accuse di frode elettorale negli anni’80 e di denunce di tortura durante gli anni ’50 e ’60, periodo in cui era responsabile del Ministero degli Interni.

Per tutte queste ragioni tre possibili scenari possono ridurre l’impatto delle pubbliche audizioni e il ruolo che potrebbero avere in quanto strumento di rivelazione della verità su un passato oscuro.

  • Il discorso delle vittime rischia di essere diabolizzato e messo in dubbio da parte dei detrattori del percorso della giustizia di transizione che sono in gran numero in questo che è il primo paese della “primavera araba”. Costoro si iscrivono nelle reti politico-finanziarie fedeli all’ancien régime che oggi dominano i capitali dei media privati. Tramite le loro armate di editorialisti probabilmente dichiareranno che le vittime, che esporranno in televisione le loro storie di vita, per lo più stroncate da una violenza sistematica e metodica da parte dello Stato, tortura, violenza, stupri, arresti arbitrari, privazioni economiche, controlli amministrativi, divorzi forzati…mentono, esagerano, fantasticano.

« Noi metteremo in evidenza solo quei casi più rappresentativi di violazioni che abbiamo già ascoltato durante le audizioni private e sui quali abbiamo investigato minuziosamente in precedenza, confermando le testimonianze e i documenti prodotti” assicura Oula Ben Nejma, che dirige la commissione ricerca e investigazione dell’IVD.

Per il commissario Ibtihel Abdellatif, diabolizzare le vittime durante le audizioni pubbliche equivarrebbe a far subire “un nuovo trauma a coloro che sono stati considerati per anni dei paria della Repubblica, dato che gli amici o chi era loro vicino, veniva dissuaso dalla polizia a venire in loro aiuto e persino a parlare con loro. Queste persone aspettano da molto tempo un riconoscimento del loro vissuto, una riscoperta della loro dignità perduta”.

L’esame comparativo di altre esperienze è edificante per quel che riguarda un tale rischio. Invitato a partecipare le scorsa settimana a un gruppo di lavoro sulle audizioni pubbliche e la protezione delle vittime organizzato a Tunisi dal Centro Internazionale per la giustizia di transizione (ICTJ), dal PNUD e dall’IVD, il giornalista sudafricano Max du Preez, conosciuto per la sua battaglia per i diritti umani all’epoca dell’ apartheid, e responsabile dal 1996 al 1998 della programmazione televisiva delle udienze pubbliche, afferma:

« Il regime dell’apartheid, che ha dominato l’Africa del Sud per 60 anni, ha cominciato sin dalle prime udienze pubbliche nel 1996 dedicate alle vittime, a gettare fango sulle loro parole affermando che erano “comunisti”, “terroristi”, “nemici dello Stato”.Ebbene, la forza delle parole di rimorso e di pentimento dei carnefici che crollavano in piena seduta e riconoscevano i loro crimini, ha presto smentito tali accuse. Abbiamo lo stesso paura che i sudafricani sviluppino, fra qualche generazione, delle tesi segregazionistiche o revisioniste. Credo oggi che l’impatto delle 2000 audizioni pubbliche resterà impresso nelle coscienze per molto tempo”

  • Esiste il pericolo che i media mainstream non si interessino all’evento e che i loro giornalisti si limitino a redigere dei semplici rendiconto delle sedute d’ascolto diffuse dai telegiornali. Ancora una volta l’esperienza dell’Africa del Sud appare molto istruttiva riguardo al trattamento mediatico di un”argomento”traboccante umanità , immagini di ogni tipo e un largo spettro di emozioni. Max du Preez racconta come i direttori della stampa hanno espresso nei loro editoriali posizioni che mettevano in dubbio le verità delle vittime mentre i loro giornalisti avevano scelto di coprire in modo professionale ed equilibrato tale evento. « E’ meglio incaricare del dossier delle audizioni pubbliche non dei novizi, ma dei giornalisti esperti, che apportano sensibilità e soprattutto memoria” consiglia il giornalista. Alla televisione pubblica per cui lavorava Max du Preez hanno inizialmente trasmesso le audizioni così come si svolgevano. Ma ben presto si resero conto che i telespettatori non riuscivano a comprendere il contesto in cui evolvevano le testimonianze, i dettagli dei fatti, e nemmeno a seguire il percorso delle narrazioni, spesso interrotte da pianto e dolore.

« Allora abbiamo deciso, insieme alla squadra di giornalisti che mi accompagnavano, di optare per “reportage speciale”, diffuso la domenica in una fascia oraria di grande ascolto. Al di fuori di qualsiasi discorso ideologico o politico, restituivamo ritratti di vittime, raccontavamo storie di vita di eroi ordinari costretti ad esserlo, e presentavamo documentazioni su alcune tematiche come la tortura, gli squadroni della morte, le sparizioni forzate. Le nostre investigazioni hanno ulteriormente rafforzato le 2000 testimonianze pubbliche delle vittime. Questa trasmissione periodica ha registrato il più alto tasso di audience dell’Africa del Sud, superando quella delle soap opera americane molto seguite all’epoca.” ricorda Max du Preez.

  • Vi è il pericolo che vittime e testimoni abbiano come consegna di non dare un nome ai propri torturatori. Occorre dire che l’IVD non ha ancora preso una decisione su questa questione delicata.  Sta ancora riflettendo, mettendo a confronto le diverse esperienze e soprattutto soppesando rischi e pericoli… Immersa fino al collo in una tempesta politico-mediatica, l’Istanza teme probabilmente di subire ulteriori attacchi, se non di essere “linciata” da una corporazione salda, mediatizzata, ultra-sindacalizzata e potente, la polizia tunisina con tutti i suoi vari corpi professionali . Dalla vecchia polizia politica alla polizia giudiziaria , alle brigate di ricerca della Guardia Nazionale, agli agenti dei servizi penitenziari… su molti di questi corpi pesano gravi accuse di maltrattamenti e tortura. Alcuni nomi molto controversi rischiano ugualmente di essere citati: quelli di politici ancora in esercizio che hanno dato l’ordine di umiliare, punire, disumanizzare. Politici che hanno partecipato alla istituzionalizzazione della tortura. In tempi più recenti, quelli del governo della Troika (dicembre 2011-febbraio 2014) sono stati compiuti degli assassinii politici che implicherebbero, secondo numerosi documenti fatti uscire dal Ministero degli Interni, la diretta responsabilità di personalità politiche islamiste, il cui partito è oggi partner di chi è al potere.

In Marocco, la Commissione Equità e Verità ha chiesto nel 2004 alle vittime e ai testimoni di non divulgare i nomi dei loro carnefici durante le audizioni pubbliche, anche se alcuni dei vecchi prigionieri per reati di opinione non erano d’accordo con questo principio. Mustapha Iznasni ha fatto parte di questa commissione. Spiega in questo modo la scelta di questo protocollo: “ Il nostro timore era di provocare l’instabilità dello stato, una “fitna”(discordia) in seno alla società e un desiderio di vendetta. L’esperienza marocchina è particolare. Di solito i percorsi di giustizia di transizione vengono avviati in paesi che escono da guerre civili o da rivoluzioni, mentre da noi il nuovo reggente esaltava(raccomandava) lo stesso tipo di regime di suo padre, una monarchia costituzionale che lui voleva più democratica e liberata dalle pratiche degradanti del passato”.

Mustapha Iznasni,ex giornalista, è oggi membro del Consiglio nazionale dei diritti umani. Non nega che il Marocco possa conoscere un giorno quanto si è svolto in Argentina, vent’anni dopo la decisione politica di chiudere i dossier riguardanti gli alti dignitari della dittatura militare. Negli anni 2000 e sotto la pressione, fra le altre, delle “Nonne di Plaza de Mayo” che si opponevano all’impunità, la questione delle sparizioni forzate venne riaperta. L’Argentina si era resa conto in quel momento di non aver ascoltato abbastanza le sue vittime.

Anche se non fare i nomi dei carnefici non significa automaticamente amnistiarli, questa procedura può costituire un freno di fronte all’infiltrazione nelle istituzioni di agenti riconosciuti come responsabili di gravi attentati ai diritti dell’uomo, come ad esempio la tortura, che ai nostri giorni continua ad essere esercitata, come se niente fosse, nei centri di detenzione tunisini. E inoltre ci si ritroverà in una situazione in cui il passato non ha fatto completamente i conti con il presente.

Alla domanda “avete messo fine alla tortura in Marocco, dieci anni dopo la chiusura dei lavori della Commissione verità?Mustapha Iznasni da una risposta sibillina: «La migliore garanzia contro la tortura rimane l’instaurazione di una cultura dei diritti umani. Occorrerebbe che questa cultura venisse integrata in tutte le Carte di coloro che  devono far applicare la legge”

l’articolo originale è apparso il 27 ottobre 2016 sul sito justiceinfo.net/fr

traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini