Che fine hanno fatto gli archivi della polizia politica?

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Torturatore che ama la vita, l’amore e le farfalle Sadri Khiari (dal sito Nawaat.org.)

Sadri Khiari

All’indomani della caduta del muro di Berlino – altra rivoluzione finita male (forse perché cominciata male) – una mostruosa quantità di documenti provenienti dalla sicurezza di Stato della ex repubblica democratica tedesca venne recuperata, trattata e poi resa pubblica. Non meno di 111 chilometri di dossier, afferma Roland Jahn, il commissario federale degli archivi della Stasi, di passaggio a Tunisi in questi giorni.

A questi documenti, ha precisato il responsabile tedesco, bisogna aggiungere 15 sacchi contenenti materiale d’archivio ridotto in frantumi durante gli ultimi istanti di una dittatura che si pretendeva socialista e che è durata più di quarant’anni.

In Tunisia, se i dossier dei diversi servizi che nel loro insieme formano quella che chiamiamo polizia politica venissero radunati, senza dubbio non potremmo aspettarci una cifra altrettanto astronomica, anche se il regime che la rivoluzione ha voluto abbattere aveva sessant’anni. Sembra infatti poco probabile che la nostra burocrazia poliziesca sia stata altrettanto meticolosa del suo equivalente nella Germania dell’Est.

Tanto più che nei primi momenti di panico che sono sopravvenuti alla fuga (volontaria o meno, poco importa) di Ben Alì, una massa importante degli archivi della polizia è sicuramente scomparsa. Al furto e all’accaparramento di numerosi dossier si è aggiunta la distruzione di documenti, probabilmente i più “sensibili”, da parte di responsabili ed ex responsabili, ansiosi di far sparire ogni traccia dei loro crimini e delle pratiche odiose sulle quali per lungo tempo hanno basato la propria autorità.

Ma questa non è la cosa più grave. Ciò che è più grave è che ad oggi gli archivi della repressione non sono ancora stati restituiti alla società. Secondo Sihem Ben Sedrine, l’Instance Verité et Dignité (organismo che si occupa di applicare la giustizia di transizione e di cui la Ben Sedrine è la Presidentessa, n.d.t.) avrebbe potuto accedere e fare copia di 13mila scatoloni di archivio provenienti dalla Presidenza della Repubblica, uno dei centri, forse IL centro del complesso politico-poliziesco dell’ancien régime.

L’insieme dei documenti relativi alla “sicurezza dello Stato” resta tuttavia ancora inaccessibile, tra le mani di un inespugnabile Ministero degli Interni. Siamo certi che in sei anni molti siano stati passati nel trita documenti, bruciati, ridotti in polvere o, nel migliore dei casi, epurati delle molte informazioni che permetterebbero di ricostruire la verità sulla dittatura e di compromettere i responsabili, gli esecutori, zelanti o complici della repressione.

La maggior parte di questi infatti (e quando non solo loro stessi, sono i loro fratelli) sono ancora al loro posto e sono impegnati da anni a ricostituire la macchina di un potere totale, a un certo momento scosso dalla rivoluzione. Spina dorsale dello Stato da moltissimo tempo, il Ministero degli Interni senza uscire completamente indenne dai rovesci che ha attraversato il nostro paese, è stato ampiamente risparmiato dai governi che si sono succeduti dal 14 gennaio 2011.

A parte qualche velleità abbozzata, esitante e rapidamente abortita, motivata più dalla preoccupazione di prendere il controllo dell’apparato repressivo che di smantellarne i meccanismi e gli organi che avevano agito con i mezzi che sappiamo per assicurare la perennità della dittatura, la stessa Troika (il primo governo post-rivoluzione uscito all’indomani della prime elezioni democratiche in Tunisia e formato dal partito di ispirazione islamica Ennahdha e due partiti di centro-sinistra, Ettakattol e Congrés de la Republique, n.d.t.) si è astenuta dal prendere misure significative, anche quando, riattivando la mobilitazione popolare, ne avrebbe avuto i mezzi.

L’apertura degli archivi della polizia politica, sempre rifiutata da parte dei ministri di Ennahda, fra cui il capo del governo, sarebbe stata un mezzo e allo stesso tempo una opportunità per trascinare davanti alla giustizia quelli che lo meritavano. Ma occorreva rischiare, cioè voler farla finita veramente con l’ancien régime e i suoi uomini, invece che sperare nella loro riconversione al servizio del nuovo potere.

L’opposizione alla Troika e, in seno a loro, la più parte della sinistra ha la sua parte di responsabilità , avendo recitato la parte del Ministero degli Interni contro Ennahda. E non solo contro Ennahda. Ciò è provato, se scegliamo solo uno dei possibili e innumerevoli esempi, dalla brutale denuncia di cui è stata oggetto Sihem Ben Sedrine, quando nel dicembre 2014 aveva cercato di trasferire presso la sede dell’Instance Verité et Dignité e mettere in sicurezza gli archivi del Palazzo di Cartagine (sede della Presidenza della Repubblica , n.d.t.).

Non occorre precisare che dal momento che la tematica della “riconciliazione” costituisce l’orientamento principale delle autorità e la “guerra al terrorismo” sembra giustificare qualunque pratica, la prospettiva di trasformazioni radicali in seno al Ministero degli Interni non sia più all’ordine del giorno. Ormai, anche se l’Instance Verité et Dignité vedesse soddisfatte le proprie richieste e avesse accesso agli archivi della polizia politica, almeno a quello che ne resta, l’impatto che ne risulterebbe non sarebbe più in grado di dare impulso alla dinamica rivoluzionaria che questa rivendicazione avrebbe potuto stimolare a suo tempo.

Ma chi vuole ancora la rivoluzione?

L’articolo è apparso il 6 febbraio 2017 su Nawaat.org

Traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini