Il parlamento tunisino approva la legge per l’amnistia dei corrotti

13 settembre 2017 Mannich Msamah davanti al Parlamento Crédit photo: pagina facebook di mannich Msamah

13 settembre 2017 Mannich Msamah davanti al Parlamento
Crédit photo: pagina facebook di Mannich Msamah

Patrizia Mancini

Ieri, 13 settembre 2017, il famigerato progetto per la riconciliazione amministrativa è diventato legge dello Stato con 117 voti a favore, un’astensione, 9 voti contrari e la non partecipazione al voto da parte dell’opposizione. Opposizione che, a più riprese, aveva chiesto che il testo venisse sottoposto all’esame del Consiglio Superiore della Magistratura (in Tunisia ancora non è ancora entrata in funzione la Corte Costituzionale).

In questo modo il Presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi (ed ex ministro di Ben Alì) è riuscito finalmente a far passare un mostro giuridico che discolperà funzionari corrotti e corruttori dell’epoca della dittatura.

Fino all’ultimo i militanti del movimento Mannich Msamah (io non perdono), feriti della rivoluzione e  famiglie delle vittime  hanno presidiato rumorosamente il Parlamento, scandendo slogan contro i due partiti di governo, i “laici” di Nidaa Tunes e i confessionali di Ennahda, i cui accordi sottobanco (1) hanno permesso che questa scellerata legge passasse. All’interno dell’emiciclo, in cui solo il 50% dei deputati era presente, l’opposizione ha intonato più volte l’inno nazionale durante il discorso del relatore, denunciando a gran voce il ritorno della mafia benalista.

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All’indomani del discorso del Presidente che lanciava la sua proposta (2), nel 2015 era nato un piccolo, ma agguerrito collettivo, Mannich Msamah, trasversale, orizzontale ed estraneo ai partiti. In questi due anni Mannich Msamah, riusciva a coinvolgere altre componenti della società civile e i partiti dell’opposizione, dotandosi inoltre di un nutrito arsenale giuridico contro il progetto presidenziale. Una parziale vittoria di questo movimento, supportata anche dalle critiche al progetto da parte della Commissione di Venezia, è stata la modifica del testo del progetto originario. L’attuale versione della legge, infatti, omette di far riferimento agli uomini d’affari notoriamente corrotti e offre l’amnistia ai soli funzionari pubblici che abbiano servito l’ancien régime.

Secondo i difensori di questa versione finale, 1500 funzionari pubblici potrebbero beneficiare dell’amnistia: da parte di Nidaa Tounes si sostiene che essi attualmente sarebbero talmente impauriti da “rifiutarsi di firmare importanti documenti, indispensabili per lanciare progetti di sviluppo e investimento”. Un’affermazione ridicola e senza alcun riscontro documentale, secondo la quale l’1% dei funzionari pubblici tunisini sarebbero in grado di bloccare l’intero sistema amministrativo del paese. Per Mannich Msamah sarebbe stato più semplice licenziare questa minoranza di funzionari, invece di favorire, con questa legge, le peggiori tendenze nelle pratiche nell’amministrazione pubblica.

Oltre a ciò, fin dall’inizio, tale progetto ha preso di mira il percorso della giustizia di transizione con la precisa  volontà di limitare, se non cancellare, le prerogative costituzionali dell‘Instance Verité et Dignité (IVD) eletta democraticamente nel 2014 e unica istituzione che avrebbe dovuto occuparsi legalmente anche dei contenziosi amministrativi e dei casi di corruzione. Una istituzione indebolita, anche al suo interno, da divergenze e lotte intestine che ancora non appaiono chiare. Secondo l’attivista Samar Tlili, da noi interpellata a margine del sit in di Mannich Msamah del 12 settembre scorso:

Mannich Msamah pensa che l’IVD abbia commesso degli errori e abbia deviato dal progetto originario e in passato abbiamo scritto una lettera di critiche alla Presidente Sihem Ben Sedrine. Tuttavia pensiamo che l’IVD sia sempre stata sotto attacco da parte del potere, sin dalla sua creazione e che il percorso della giustizia di transizione vada salvaguardato e difeso.”

Sit in del 12 settembre 2017 contro la legge per la riconciliazione amministrativa Foto: Tunisia In Red

Sit in del 12 settembre 2017 contro la legge per la riconciliazione amministrativa Foto: Tunisia In Red

Ma non è solo la giustizia di transizione a essere in pericolo: il 6 settembre 2017, sempre il Presidente della Repubblica Essebsi in una intervista compiacente al quotidiano La Presse , attaccava le istituzioni costituzionali indipendenti che , a suo dire, “bloccano il paese” e si augurava che il Parlamento attuasse presto delle modifiche alla Costituzione”

Non sta a me dirlo, ma tutti sono d’accordo nel dire che il sistema politico che è venuto fuori dall’attuale Costituzione ha diverse lacune. E’ un sistema che in pratica paralizza l’azione di governo. Il suo carattere eterogeneo (sic!) non aiuta il governo…a compiere le sue funzioni per quanto riguarda la gestione dello Stato…”

In realtà, come afferma l’intellettuale Sadri Khiari:

“ Ciò che egli si augura , senza formularlo esplicitamente, è un sistema presidenzialista plebiscitario sul modello bourghibista. In lui sonnecchia, non abbiamo alcun dubbio, il sogno di una presidenza a vita”.

Sadri Khiari: mani del >presidente della Repubblica che rivedono la Costituzione Fonte: Nawaat.org

Sadri Khiari: mani del presidente della Repubblica che rivedono la Costituzione Fonte: Nawaat.org

E nello stesso giorno in cui veniva votata la legge per la riconciliazione amministrativa, il consigliere politico del partito Nidaa Tounes, Borhen Bsaies, annunciava a Radio Shems la creazione di una coalizione di partiti per emendare la costituzione nella prospettiva di creare “un nuovo regime politico che potrà salvare il paese”. Più chiaro di così.

Se ciò non bastasse a far temere per la tenuta democratica della Tunisia, potremmo citare solo due fra i più recenti attacchi alle libertà individuali e d’espressione: l’arresto di alcuni giovani (fra cui degli attivisti di Mannich Msamah) a El Kef che “sarebbero stati trovati in stato di ebbrezza” (una polizia islamista non avrebbe potuto fare di meglio!) e l’espulsione dal territorio tunisino di Hicham Al Aloui, universitario e oppositore marocchino che doveva intervenire in una conferenza sulla transizione democratica.

Unica luce in questo quadro desolante sembra essere la volontà di Mannich Msamah a continuare la lotta:

“ Da tempo discutiamo al nostro interno su come continuare la battaglia anche dopo l’eventuale voto favorevole del Parlamento alla legge per la riconciliazione” ci ha detto Wissem Sghaier, tra i fondatori del movimento” e esamineremo tutte le possibilità di aggredire questa legge dal punto di vista giuridico con l’aiuto dei deputati dell’opposizione. Ma abbiamo discusso anche di come allargare l’orizzonte delle nostre battaglie sul piano sociale, cosa che del resto abbiamo già fatto in occasione della Conferenza Internazionale sugli investimenti lo scorso novembre. Una cosa è sicura: il movimento non finirà qui”.

Da oggi si annunciano mobilitazioni e manifestazioni;  la più importante si svolgerà sabato 16 settembre nella capitale.

 Sicuramente il quadro d’insieme non lascia presagire niente di buono nel paese che l’ Occidente si ostina a definire l’unica esperienza di transizione democratica riuscita del mondo arabo.

Soltanto una riorganizzazione delle lotte politiche e sociali che rimetta insieme il puzzle dei movimenti, a nostro avviso, può donare ancora speranze a questa generazione di giovani che avuto il coraggio di cacciare Ben Alì.

1) Lo “scambio di favori” tra i due partiti della coalizione di governo riguarderebbe la tenuta delle elezioni municipali a dicembre 2017 (voluta da Ennahda) in cambio del voto favorevole alla legge per la riconciliazione finanziaria(voluto da Nidaa Tounes)

2)Il 25 marzo 2015 il presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi, in una intervista a un periodico francese ,dichiarava: “E’ necessaria una riconciliazione nazionale. La giustizia di transizione non può condannare tutti, ma è servita a consolare il cuore delle vittime del vecchio regime. Noi dobbiamo smetterla di regolare i conti con il passato. Bisogna girare pagina e far sì che i tunisini che possiedono denaro (i seguaci di Ben Alì) riprendano a investire in Tunisia e siano utili al loro paese. Bisogna che ci sia una transazione fra loro e lo Stato e che essi riportino in patria i loro beni per investirli da noi”.