Tunisia: Il paese aiutato male

Patrick Zachmann // M. Ali Ghommidh, 19 ans, pose devant le bateau sur lequel il a embarqué, avec cent autres migrants clandestins, en direction de l’Europe. Le chalutier a failli sombrer, et ses passagers ont été sauvés par la marine tunisienne, Zarzis, avril 2011 Magnum Photos

Patrick Zachmann // M. Ali Ghommidh, 19 anni, posa davanti alla barca sulla quale si era imbarcato insieme ad altre cento persone per l’Europa. L’imbarcazione si è trovata in difficoltà ed è stata soccorsa dalla marina tunisina, Zarsis , aprile 2011 Magnum Photos

Akram Belkaïd

Il 2 giugno 2018 un peschereccio partito dalle isole Kerkennah in Tunisia in direzione di Lampedusa fa naufragio in mare aperto. Almeno 80 persone muoiono, 54 sono di nazionalità tunisina. Quest’ennesima tragedia dell’immigrazione illegale conferma che il sogno dell’Europa continua ad essere vivo in una popolazione che non crede più alle promesse di giorni migliori nate all’indomani della la rivoluzione del 2011.

Nel suo ultimo rapporto annuale Il Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali (FTDES) riporta che 6151 tunisini, di cui 89% uomini e 544 minori non accompagnati, hanno raggiunto l’Italia nel 2017 (1). Gli interventi in mare della guardia costiera si sono moltiplicati: 1473 intercettazioni di barconi pieni di migranti nel 2017 contro…151 nel 2015. Numerosi sono i cittadini tunisini su queste imbarcazioni di fortuna. E la tendenza non s’inverte : in 7000 avrebbero già affrontato i pericoli del mare del mare tra gennaio e fine maggio 2018.

Le ragioni delle partenze di questi persone, ahimè, sono ben note : alla disoccupazione endemica e alla mancanza di prospettive, soprattutto nelle regioni sfavorite o nelle periferie popolari delle grandi città della costa, s’aggiunge un’incertezza politica che preoccupa una popolazione già attonita di fronte al fatto che 3000 giovani siano partiti per combattere in Siria e in Iraq. Al di là dell’accordo sulla  necessità di “credere nella Tunisia”, le autorità del paese sembrano essere travolte dall’ ampiezza del fenomeno. In mancanza di idee innovative, esse fanno fatica a concepire un modello di sviluppo economico e a infondere un impulso in grado di mantenere le promesse della rivolta del gennaio 2011. Mancano risposte alle sfide strutturali (disoccupazione dei giovani laureati, sottosviluppo delle regioni interne della Tunisia), mentre cresce l’inflazione, il dinaro continua a svalutarsi, il turismo – penalizzato dagli attentati terroristici – non troverà tanto presto l’ampiezza degli anni precedenti, i conflitti sociali si moltiplicano, con o senza l’avvallo dell’Union générale tunisienne du travail (UGTT, il più importante sindacato tunisino, n.d.t.).

Sul piano strategico l’Unione Europea non ha nient’ altro da proporre alla Tunisia se non un accordo di libero scambio completo e approfondito (ALECA).

Il potere delude, tanto più che la vita politica è segnata da dissensi all’interno del Partito Nidaa Tounes del presidente Béji Caid Essebsi e dalla volontà attribuita ad alcuni paesi del Golfo (Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita) di incoraggiare un colpo di stato per escludere gli islamisti moderati d’Ennahda dal governo e dallo scenario politico. L’accordo politico tra le due formazioni, una “laica” e l’altra religiosa, ha evitato alla Tunisia quei conflitti che hanno insanguinato altri luoghi del mondo arabo. Ma sia Nidaa Tounes che Ennahdha appaiono incapaci di pensare allo sviluppo se non riprendendo meccanicamente le vecchie ricette liberali che sono già fallite. A Tunisi i loro dirigenti lodano i benefici delle privatizzazioni o del partenariato pubblico- privato, facendo finta di dimenticare che in Europa vi siano voci che mettono in guardia contro questi specchietti per allodole (2).

Ora questo discorso addomesticato sui benefici del mercato e dell’apertura non riesce neppure ad accontentare l’Unione Europea e il Fondo Monetario Internazionale (FMI) a cui è rivolto. Passata l’esaltazione della “Primavera Tunisina” la UE, preoccupata soprattutto per la  questione dei migranti, vuole forzare la mano affinché Tunisi accetti l’apertura dei campi di detenzione sul suo territorio. Sul piano strategico, l’Unione Europea non ha niente altro da proporre se non accordo di libero scambio completo e approfondito (ALECA). In cambio di “maggiore integrazione economica all’Europa”, che deve essere ancora specificata, la Tunisia è invitata ad abbassare i dazi doganali in tutti i settori, inclusa l’agricoltura.

Inimmaginabili  sarebbero le conseguenze sociali di una maggiore apertura dell’economia tunisina, ma  neanche  l’ FMI se ne preoccupa. Il più importante fornitore di prestiti ha deciso -sembrerebbe – che la Tunisia non beneficerà di nessun trattamento di favore, neppure in segno di solidarietà a una democrazia nascente. Per avere gli aiuti finanziari di cui la Tunisia ha bisogno, il governo dovrà operare tagli del personale nel servizio pubblico, abbassare o sopprimere le sovvenzioni e lanciare le privatizzazioni che persino il regime di M. Zine El-Abedine Ben Ali si rifiutava di applicare per ragioni di sovranità nazionale e prudenza politica. Come in altri tempi e altri luoghi, l’ FMI inventa un bel programma sociale che non farà che rinforzare la rete dei passeurs che operano tra le regioni di Sfax e Zarzis…

La Tunisia post Ben Ali non ha usufruito di un massiccio aiuto europeo per realizzare la propria transizione democratica. Quest’ultima tuttavia prosegue, mentre il resto del mondo arabo è in preda a conflitti, al ritorno in forza dell’autoritarismo e dalla polarizzazione tra formazioni secolari e correnti politiche religiose. Nel giugno 2018 la Commissione delle libertà individuali e della Uguaglianza (Colibe) ha proposto al governo ambiziose riforme della società : uguaglianza in materia di eredità tra fratelli e sorelle, figli e figlie o marito e moglie, abolizione della pena di morte (una moratoria esiste di fatto dal 1991) e depenalizzazione dell’omosessualità. Tutte proposte destinate a incarnare nelle leggi la Costituzione emancipatrice adottata nel 2014.

Certamente questo dibattito non fa che cominciare e promette aspre discussioni. Sarebbe stato meglio che queste proposte di riforme fossero arrivate  in un contesto economico e sociale meno tormentato.

(1)Forum tunisien pour les droits économiques et sociaux, « Rapport annuel. Émigration non réglementaire depuis la Tunisie » (PDF), Tunis, 2017.

(2)Mathilde Moracchini et Hadrien Toucel, « Finissons-en avec les PPP, ces boulets que l’État s’accroche au pied », Rue89, 3 novembre 2014.

L’articolo è apparso su “Manière de voir”, supplemento di Le Monde Diplomatique, agosto-settembre 2018.

Traduzione e adattamento dal francese a cura di Hamadi Zribi