Giustizia di transizione in pericolo, prende corpo la minaccia dell’amnistia generale

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Giornata storica per la Tunisia: prima udienza del tribunale speciale di 1° istanza a Gabes 29 maggio 2018 (foto da twitter Kamel Matmati)

Olfa Belhassine

Da diverse settimane, nei luoghi arcani dell’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo (il Parlamento tunisino n.d.T.), circola un documento di rara importanza. Proviene dal governo o, più precisamente, dal Ministero incaricato delle relazioni con le istanze costituzionali, la società civile e per i diritti umani. Si intitola: “Progetto preliminare di una legge organica relativa al raggiungimento del processo della giustizia di transizione, per l’instaurazione della riconciliazione generale e il consolidamento dell’unità nazionale” La copia che JusticeInfo.net è riuscita a procurarsi porta la data del 8 marzo 2019 ed è indirizzata al presidente del gruppo parlamentare del Movimento Ennahda, partito islamista conservatore, Noureddine Bhriri.

Si tratta certamente solo di una bozza di progetto di legge che non è stata ancora adottata dal consiglio dei ministri ed è soltanto arrivata a tutti i presidenti dei gruppi parlamentari per consultazione. Ma l’iniziativa si rivela una minaccia per le conquiste, ancora parziali, della giustizia di transizione in Tunisia, poiché assomiglia a una legge di amnistia per tutti coloro i quali, in questo momento, vengono giudicati per violazioni commesse durante la dittatura e i cui dossier – circa 170 – vengono attualmente esaminati dai tribunali speciali. Halim Meddeb, avvocato e coordinatore di progetti presso l’organizzazione “Avocats sans frontiers” (ASF) qualifica questa iniziativa un vero e proprio “aggiramento del processo”.

SCUSE IN CAMBIO DELLA FINE DELLE ACCUSE

Il documento si sviluppa in 46 articoli e prevede, all’articolo 2, il risarcimento per tutte le vittime. Propone la creazione di due commissioni di riconciliazione. La prima agirebbe nell’ambito delle violazioni dei diritti umani. Si comporrebbe di 9 membri, di cui un terzo nominato dal Presidente della Repubblica, un altro dal capo del governo e gli altri tre dal presidente del Parlamento. La seconda si dovrebbe occupare dei dossier di corruzione e di malversazioni. Anch’essa sarebbe formata da membri nominati dai poteri esecutivo e legislativo.

Secondo l’articolo 2 di questo progetto di legge “tutti i dossier relativi a violazioni dei diritti umani di cui i tribunali speciali sono stati investiti” saranno depositati “presso il cancelliere di ciascun tribunale competente che “li trasmette obbligatoriamente alla commissione di riconciliazione”. L’articolo 19 rivela il vero senso della creazione di questa nuova struttura strettamente amministrativa:” il presunto colpevole presenta le proprie scuse davanti alla commissione di riconciliazione riguardo ai fatti che gli vengono imputati entro 15 giorni dalla data di notifica. E’ esentato dalle scuse colui il quale viene dichiarato innocente di ogni violazione da parte della commissione di riconciliazione. In questo caso la riconciliazione opera di diritto”

L’articolo 20 va ancora più lontano : “La riconciliazione avviene di fatto con la presentazione delle scuse, come citato nell’articolo 19. La procedura è redatta sotto forma di decisione finale che non è in alcun modo suscettibile di ricorso, compresa l’impugnazione in cassazione e l’impugnazione per eccesso di potere. Una copia viene notificata alla persona interessata”.

UNA VIOLAZIONE DI PRINCIPI FONDAMENTALI

Per il professore di diritto pubblico, ex preside della facoltà di diritto dell’Ariana a Tunisi ed ex ministro della Giustizia Mohamed Salah Ben Aissa, questo progetto lede due principi fondamentali. “Il primo riguarda l’autonomia del potere giudiziario. Si arriva a privarsi di giurisdizioni in piena attività che hanno avviato dallo scorso maggio l’audizione delle vittime e dei testimoni e la convocazione degli accusati, senza alcuna giustificazione e senza rispondere a un bisogno di interesse generale. Il secondo è una chiara violazione della Costituzione poiché impedisce nello stesso tempo sia il diritto a un processo giusto, sia un doppio grado di giurisdizione, dato che la decisione della commissione non è suscettibile di ricorso”.

Dopo quattro anni e mezzo di lavoro della Istanza Verità e Dignità (IVD), dopo una ventina di audizioni pubbliche di questa commissione diffuse dai canali televisivi locali, dopo più di 60.000 ore di audizioni a porte chiuse delle vittime di violazione dei diritti umani, dopo che decine di giudici sono stati formati per emettere giudizi nei tribunali speciali, e infine una relazione conclusiva dell’IVD che è stata messa on line, le autorità sembrano voler ignorare tutto ciò. Propongono un’altra cosa: un assegno di risarcimento per evitare la verità, la responsabilità penale e la riforma delle istituzioni.

« Da un po’ di tempo il termine riconciliazione viene strumentalizzato “sottolinea Antonio Manganella, direttore della sede di ASF a Tunisi. “E’ un errore storico! Questo principio non è un obiettivo, ma il risultato dello svelamento della verità e della lotta all’impunità. Del resto, le ragioni che hanno innescato la rivoluzione sono ancora presenti: la centralizzazione dello Stato, una cattiva ripartizione delle ricchezze, una corruzione endemica, una polizia che non ha cambiato i suoi codici e riflessi.”

FINI ELETTORALI

Questa iniziativa legislativa non è tuttavia la prima del genere. Durante l’estate del 2015, il presidente della Repubblica aveva sottoposto al consiglio dei ministri una legge per la riconciliazione economica e finanziaria, adottata due anni dopo dal Parlamento con alcuni emendamenti. Non costituisce neppure una vera sorpresa per le organizzazioni della società civile che hanno pubblicato il 9 aprile, giorno della festa dei Martiri, un manifesto firmato da 28 associazioni che afferma rigettare “ qualunque testo di legge che mini il percorso della giustizia di transizione e che minacci i suoi meccanismi in funzione”

Tutte queste ONG tunisine e internazionali – fra cui la Lega tunisina per i diritti umani, l’Associazione dei magistrati, Al Bawsala (una ONG tunisina che favorisce la partecipazione cittadina), l’Organizzazione mondiale contro la tortura, l’Associazione delle donne tunisine per la ricerca sullo sviluppo, Human Rights Watch, ecc. – si aspettavano un’offensiva da parte del potere.

Del resto, il capo del governo aveva affermato, sin dal mese di dicembre 2018, che il lavoro svolto dall’IVD non era soddisfacente e che il governo avrebbe proposto un progetto per “correggere il percorso e completarlo, un progett nel senso di una vera riconciliazione”, secondo le parole del Primo ministroYoussef Chahed. Il suo alleato politico attuale, Rached Ghannouchi, capo di Ennahda, non smette mai di parlare di “riconciliazione integrale” in tutti i suoi ultimi discorsi.

E’ difficile che una tale legge venga approvata da qui all’estate. Ma il progetto potrebbe ben incarnare un’offerta elettorale per Youssef Chahed e per il suo giovanissimo e promettente partito Tahya Tounes (Viva la Tunisia), in vista delle elezioni generali in ottobre. Tutti i partiti che sostengono questa iniziativa sperano in effetti di attingere con profitto dal bacino elettorale formato da chi è rimasto fedele all’ex presidente Ben Alì e che detesta sopra ogni cosa questa giustizia che fruga nei crimini del passato. “Nel caso in cui questo progetto di legge passasse, persino l’ex presidente Ben Alì potrebbe farvi ricorso. Secondo il testo, nessuno può rifiutargli una decisione di riconciliazione” denuncia l’avvocato Halim Meddeb.

Link al testo (in arabo) del progetto di legge

https://www.justiceinfo.net/fr/reconciliation/download/13_3d1e546a49abd035305f574746fdc7f1.html

L’articolo originale è apparso il 12 aprile 2019 sul sito justiceinfo.net

Traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini