Basma e le altre

Patrizia Mancini

La vedova di Chokri Belaid “Ci sarà tempo per le lacrime, ora bisogna continuare a lottare”.

Basma Khalfaoui (nella foto), vedova di Chokri Belaid, avvocata e militante dell’Association des femmes démocrates e della sinistra, è divenuta in questi giorni il simbolo della resistenza tunisina contro la violenza politica e il tradimento delle istanze rivoluzionarie .

Il giorno stesso dell’omicidio del marito Besma era sull’Avenue Bourghiba e accompagnava l’ambulanza con la salma davanti al Ministero degli Interni. La sua immagine con il braccio alzato nel gesto della vittoria ha fatto il giro del mondo e rimarrà impressa per sempre nella memoria collettiva del popolo tunisino. Da due giorni Basma manifesta davanti alla sede dell’Assemblea Costituente per chiedere le dimissioni del governo la cui politiche securitarie a senso unico hanno in qualche modo lasciato spazio alla violenza in ambito politico che ha raggiunto il suo apice con l’assassinio di Chokri Belaid. E oggi, 12 febbraio 2012, Basma ha portato la sua solidarietà a un’altra vedova, la signora Lazar, moglie dell’agente di polizia morto in circostanze poco chiare durante i disordini registrati all’indomani dell’uccisione del leader marxista.

Ma l’avvenimento più straordinario di queste giornate tristi e turbolente è rappresentato senz’altro dallapartecipazione massiccia delle donne al corteo funebre e alla sepoltura di Belaid l’8 febbraio 2012. Infatti, contrariamente a quanto riportato da alcune autorevoli fonti giornalistiche italiane, come La Repubblica, più della metà delle centinaia di migliaia di persone che hanno accompagnato la salma del militante assassinato era composta da donne che rappresentavano l’ala più combattiva e rumorosadella marcia verso il cimitero di Djallez, così come molto sovente era accaduto durante le manifestazioni contro Ben Alì. E, senza precedenti nella casistica del rito funebre musulmano, alla sepoltura e alla preghiera collettiva hanno partecipato Basma, sua figlia e la sorella di Chokri, in contrasto con la tradizione che vuole le donne assenti nel giorno dell’interramento (anche nel caso di decesso di una donna). A loro normalmente è permesso accedere alla tomba solo dalla giornata successiva ai funerali. A poco servirà probabilmente il “richiamo all’ordine” del Ministro degli Affari religiosi Nourredine Khadmi che ha condannato la presenza femminile all’esequie come deviazione dai precetti dell’Islam e al quale ha ben risposto Hamma Hammami, portavoce del Fronte Popolare, evidenziando la condanna selettiva del ministro che ben si è guardato, nel passato, dal criticare le distruzioni dei mausolei dei santi tunisini e la distruzione di copie del Corano in essi custoditi.

Dunque una linea rossa è stata oltrepassata dalle donne in questi giorni. Non è stata la prima, certamente non sarà l’ultima. È innegabile, infatti, come altre azioni femminili abbiano segnato le vicende postrivoluzionarie e introdotto elementi di speranza e di sana contraddizione nelle dinamiche sociali. Il 13 agosto 2012, in pieno periodo di Ramadan, un’enorme manifestazione nella capitale ha contestato e fatto ritirare una proposta di Nahdha di introdurre nella nuova costituzione il concetto di complementarietà della donna nei confronti dell’uomo, emanazione di una lettura letterale del Corano. E ancora: lo squallido episodio della giovane violentata da due poliziotti alla periferia di Tunisi e inizialmente accusata di “oltraggio al pudore” perché sorpresa in auto con il fidanzato, ha mobilitato migliaia di donne e ha portato al ritiro delle assurde accuse nei suoi confronti e all’incarcerazione dei due violentatori. La giovane ha avuto anche il coraggio di apparire, a volto coperto, in una trasmissione televisiva in cui ha narrato la sua vicenda: una prima assoluta nella storia della televisione nazionale.

Non è un caso poi se sia stata una giovane universitaria, Khaoula Rchidi, l’unica ad aver avuto il coraggio di affrontare un fondamentalista che aveva sostituito la bandiera tunisina con il drappo nero salafita sul tetto dell’Università della Manouba.

E davanti ai tribunali militari sono sempre loro in maggioranza, madri, mogli e sorelle delle vittime della rivoluzione che ormai da quasi due anni reclamano giustizia e verità per i loro cari. Come Fatma, la madre di Ahmed, freddato a Tunisi nel gennaio 2011 da un cecchino, la quale ha chiesto pubblicamente al presidente della Repubblica Moncef Marzouki di togliersi dal bavero della giacca la medaglietta con l’immagine di suo figlio, poiché ancora a oggi il governo non è stato in grado di dare risposte su quell’uccisione.

Come non citare l’ostinazione delle madri dei ragazzi dispersi all’indomani della loro fortunosa partenza per Lampedusa e dei quali si è persa ogni traccia su entrambe le sponde? Ottenuto il confronto delle impronte tra governo italiano e tunisino, ancora non si rassegnano e chiedono conto sia della sorte dei loro figli che delle politiche migratorie dei due paesi. E continuano a manifestare e a chiedere “Dove sono i nostri figli?”.

La Tunisia sta attraversando il momento più difficile del periodo post rivoluzionario e il suo superamento dipende da tutti, governo e opposizioni. E l’esempio di Basma Khalfaoui deve dare un nuovo coraggio, una nuova spinta, un nuovo impulso a tutti i tunisini.

Le donne, loro, già lo sanno.

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