La tortura in Tunisia, un crimine alimentato dall’impunità

1386817877-protest-against-torture-in-tunisia-on-international-human-rights-day_3475917Yassin Nebli

La rivoluzione non ha fatto scomparire la tortura dai posti di polizia e dalle prigioni. Le stesse pratiche sono tuttora in vigore con conseguenze psicologiche e fisiche. La Tunisia stenta a legiferare in merito e i crimini restano impuniti.  

L’Organizzazione contro la tortura in Tunisia (OCTT) è impegnata  a raccogliere le testimonianze delle vittime e dei famigliari. Le cifre a riguardo permettono di comprendere l’ampiezza del fenomeno.

Quando alcuni atti di tortura e di maltrattamenti commessi dalle forze di polizia vengono mediatizzati, l’opinione pubblica è sempre scioccata. Ma questo sentimento, dettato dalla solidarietà provvisoria con le vittime, molto presto svanisce, portato via dal flusso di altre informazioni.

Tanto che nell’immaginario collettivo la tortura è un fenomeno marginale, una pratica non generalizzata presso le forze dell’ordine. Alcuni arrivano persino a considerare l’umiliazione delle persone arrestate un mezzo efficace per governare e regolare la criminalità.

Questa immagine confusa della tortura, rafforzata dalla comunicazione delle autorità, non regge di fronte ai numerosi casi segnalati alle organizzazioni locali e internazionali. L’Organisation Contre la Torture en Tunisie (OCTT) riceve quasi quotidianamente denunce da quando le attività dell’organizzazione sono state legalizzate, nel mese di gennaio 2011.

Centinaia di documenti, testimonianze e rapporti medici, depositati presso la sede dell’OCTT a Tunisi, fanno riflettere su queste pratiche disumane. Difficile conoscere le circostanze e risalire ai responsabili, così come all’ampiezza della pratica. Il basso tasso di colpevoli riconosciuti si aggiunge alla problematica.

Un rapporto specifico delle Nazioni Unite pubblicato alla fine di febbraio 2015 spiega come la tortura in Tunisia non sia scomparsa (l’intero rapporto in inglese si trova allegato all’articolo originale di Inkyfada.com n.d.t.) e suggerisce delle raccomandazioni.

Le cifre fornite dall’OCTT, lungi dall’essere esaustive, forniscono un quadro della situazione relativamente al 2013 e al 2014.

 

 

apparati versione italiana

 

 

Una pratica estesa a tutto il paese

La tortura e i maltrattamenti sono diffusi in tutte le parti del paese, con la maggior parte dei casi denunciati nel governatorato di Tunisi che, sui 228 casi recensiti dall’OCTT, ne colleziona 142 Un tasso elevato che può trovare una spiegazione nella densità abitativa.

Le cifre mostrano inoltre come la polizia sia il corpo di sicurezza che utilizza maggiormente questo genere di pratica, data l’estensione dei suoi interventi ed è seguita a ruota dalla Guardia Nazionale (corpo simile a i nostri carabinieri n.d.t.). La polizia è anche incaricata di eseguire i fermi che possono durare fino a 6 giorni. La violenza fisica è la forma di tortura e di maltrattamento più diffusa. Le forze di polizia ne fanno uso per strada, nei commissariati, sui mezzi di trasporto o anche nelle abitazioni private, in caso di irruzioni.

Brahim Ben Taleb, incaricato di progetti dell’OCTT, spiega come i centri di custodia dove vengono tenute le persone in stato di fermo siano anch’essi luoghi dove si tortura.

…Le vittime si trovano in una campana di vetro almeno per tre giorni, senza che i famigliari vengano informati del luogo e della durata del fermo” sottolinea.

Anche la prigione, secondo Brahim Ben Taleb, è luogo di tortura e di maltrattamento e ciò è supportato dalle denunce presentate dai famigliari all’OCTT che dimostrano il radicamento di queste pratiche all’interno delle carceri tunisine. L’impossibilità, tuttavia, per le associazioni di effettuare visite a sorpresa e il timore di rappresaglie da parte dei detenuti, non permettono di fornire cifre concrete. Lo Stato si trasforma in questo modo da garante dell’integrità fisica a suo violatore.

Abdessatar Sahbani, professore di scienze sociali, spiega così questo cambiamento del ruolo dello Stato:

La pratica della tortura è radicata nel comportamento dello Stato tunisino sin dall’Indipendenza. La lotta febbrile per il potere ha prodotto una gestione di tutti i conflitti tramite la violenza sanguinaria”

Secondo Sahbani, in seguito, la violenza si è trasformata in strumento abituale di dominio sulla società col pretesto di riuscire a scoprire le circostanze di un dato crimine.

Le ragioni di una pratica

L’uso della violenza sarebbe giustificato dal timore delle reazioni del detenuto durante l l’interrogatorio. “Un alibi irreale”, secondo i difensori dei diritti umani, dato che il detenuto è spesso ammanettato.

I colpi sono sovente accompagnati da scariche elettriche o aggressioni sessuali.

L’avvocato Halim Meddeb dell’Octt afferma . “ I casi di tortura avvengono durante gli interrogatori nei posti di polizia quando si vogliono strappare confessioni per chiudere la pratica, non per arrivare alla verità”

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Tortura e maltrattamenti, cause di decessi e handicap permanenti

A volte le torture provocano menomazioni o il decesso della persona che le subisce. I militanti dei diritti dell’uomo qualificano questi casi come “morti sospette”, per il mistero che le circonda. Spesso il decesso avviene al momento dell’arresto nei luoghi di detenzione oppure nelle prigioni.

Alcuni casi:

La morte di Mohamed Alì Snoussi, riportata dall’OCTT:

fine di settembre 2014, il giovane venticinquenne muore a seguito dell’aggressione da parte degli agenti della 17° brigata di Melassine (quartiere popolare di Tunisi n.d.t.) dopo il ricovero all’ospedale Charles Nicole a Tunisi.

Tracce di tortura sono state osservate da parte di membri dell’OCTT e tutte le testimonianze raccolte provano che il decesso è avvenuto a seguito dell’aggressione.

Le violenze possono portare anche gravi menomazioni. Haikel Êchi, venditore ambulante di menta, caduto nelle mani della polizia a Sfax nel giugno 2014,  ne ha fatto le spese ed è diventato cieco. E’ stato colpito con i piedi, spinto violentemente all’interno del veicolo della polizia, malgrado avesse avvertito di avere un handicap alla gamba sinistra. Ha perso i sensi e si è risvegliato cieco all’ospedale di Sfax.

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Copia del certificato medico di Khaled Êchi ottenuto da inkyfada.com khaled-3echi-1200-inkyfada

  Ho perso la vista per una bancarella di menta che non vale più di 7 dinari (3,5 euro circa) ma che mi dava la possibilità di guadagnarmi il pane e di non trovarmi nella povertà e nel bisogno”

Così Haikel Êchi riassume con amarezza la sua esperienza, rammentandosi dei dettagli e dei nomi dei suoi torturatori. Il certificato medico, di cui Inkyfada ha ottenuto una copia,  lega la sua cecità al fatto di essere stato colpito con oggetti duri e appuntiti. Tuttavia nessuna accusa chiara è stata firmata contro gli agenti, autori dell’aggressione.

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Legiferare contro la tortura

Dopo la rivoluzione, la tortura non è più un tabù nel discorso comune. Perciò diviene possibile un cambiamento legislativo. Ma a dispetto di questa nuova opportunità, le leggi tunisine soffrono ancora di un vuoto a riguardo.

Fra queste mancanze giuridiche, l’avvocato Mondher Cherni, segretario generale dell’OCTT, ricorda il decreto legge n 106 del 2011 che egli considera come carente e contrario alle convenzioni e trattati internazionali contro la tortura.

Questo decreto non considera tortura la violenza commessa contro la persona per punirla, ma la limita al tentativo di ottenere delle confessioni, di intimidire di far paura e discriminare”

Di fatto, a suo parere, la tortura utilizzata come punizione beneficia di legittimità nella legislazione tunisina, mentre è criminalizzata nella Convenzione Internazionale di lotta contro la tortura, ratificata dalla Tunisia nel 1988.L’avvocato Cherni spiega come esista una mancanza di coerenza fra le leggi e lo spirito della Costituzione. Quest’ultima fa riferimento al diritto dell’accusato a fare ricorso a un avvocato in ogni tappa del processo giudiziario, cosa che non è prevista dalle attuali leggi tunisine.

……….

L’eterna impunità

Oltre alle falle giuridiche, l’impunità è un fattore che complica la lotta contro la tortura. I militanti per i diritti umani sono d’accordo nel rilevare la lentezza del percorso giudiziario quando si tratta di casi di tortura. Questa constatazione è confortata dall’assenza quasi totale di incriminazioni nei confronti di chi commette tali atti.

Durante il periodo 2013-2014 un solo caso di accusa è stato registrato, quello riguardante Meriem, la giovane violentata da agenti di polizia alla periferia di Tunisi. (1)

L’istruttoria legata al processo giudiziario il più delle volte viene aperta negli stessi uffici della polizia dove si sono verificati gli atti di violenza. Un procedimento che invalida il principi di neutralità e di oggettività che sono i fondamenti dell’istruttoria. Generalmente prevale la solidarietà fra gli agenti.

Per colmare questa lacuna si pensa di lanciare un nuovo progetto, l’ufficio per le denunce contro la polizia, sul modello dell’esperienza danese.

In attesa dell’entrata in vigore di questo meccanismo in Tunisia, l’OCTT chiede il trasferimento delle prerogative delle inchieste legate a fatti di tortura direttamente procuratore della Repubblica.

Anche nei casi di decesso a seguito di tortura vige il principio di impunità, il che suscita diversi interrogativi, soprattutto nei casi in cui i referti medici redatti in questi casi parlano di decesso naturale, mentre le famiglie delle vittime e i rapporti delle organizzazioni per i diritti umani parlano di circostanze poco chiare riguardo il decesso.

L’OCTT sottolinea la necessità di procedere con delle perizie effettuate da un comitato costituito da tre medici, di cui uno nominato dai famigliari della vittima.

Il fenomeno della tortura, sebbene provato statisticamente, non trova risposte, se non elusive e di smentita,  da parte delle autorità che arrivano persino ad affermare che le cifre fornite dalle associazioni sono gonfiate.

Il precedente Ministro degli Interni, Lofti ben Jeddou, commentando in passato l’evoluzione dei casi di tortura e di maltrattamenti nelle prigioni affermava trattarsi non di un “fenomeno”, ma di “casi isolati”.

La tortura in Tunisia è un fenomeno  che, sebbene provato e documentato dalle organizzazioni, continua a essere smentito. Una smentita da parte delle autorità che permette loro di evitare ogni responsabilità di fronte alle vittime che, per la maggior parte, portano ancora i segni delle violenze subite.

(1) http://www.tunisiainred.org/tir/?p=4172

Sunto, adattamento e traduzione dell’articolo originale a cura di Patrizia Mancini

L’articolo completo in francese è apparso il 13 maggio 2015 sul sito Inkyfada.com

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