Redeyef : la speranza delusa della Tunisia emarginata

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“Il 2008 è la tomba di Ben Alì “Graffiti nel quartiere del mercato Foto: Stefano Pontiggia

La rivoluzione tunisina non sarebbe stata possibile senza la partecipazione delle popolazioni delle regioni dell’Ovest e del Sud del paese. Ma, quattro anni dopo, la situazione resta ancora difficile.

Viaggio a Redeyef, culla di tante rivolte nel corso della storia.

«Qui, se vuoi lavorare, devi battere i pugni sul tavolo. Devi fare rumore »  Sono seduto in un caffé pieno di fumo e di rumore nel centro di Redeyef. Insieme a noi altri cinque giovani disoccupati sorseggiano le loro bibite.

Mahdi è un giovanotto di trent’anni impiegato, senza contratto, in una società per il trasporto dei fosfati. In città questi “lavoratori ” sono conosciuti con il nome di “bayecha”  ; il loro compito è ricoprire i camion con teloni di plastica in modo che il terriccio ricco di fosfati non cada. Per questo lavoro ricevono circa tre euro al giorno, ma solo se vi sono veicoli che escono dalla città.

E’ per questa ragione che nel gennaio 2015 Mahdi e i suoi amici hanno deciso di bloccare la strada ai camion. Il governo reagì inviando la polizia a liberare il passaggio, provocando degli scontri.

Questa storia, nella Tunisia post-rivoluzionaria non è né rara né sorprendente. Le diseguaglianze regionali che causarono le sollevazioni del 2010-2011 sono ancora presenti e tuttora affliggono la vita di migliaia di tunisini.

Una regione marginalizzata

Situata in un bacino minerario, a 400 km dalla capitale, non lontano dalla frontiera con l’Algeria, Redeyef produce fosfati grezzi. Questi successivamente vengono spediti ai porti della costa di Sfax e di Gabes, dove sono arricchiti ed esportati.

La storia di questa città è strettamente legata a quella del Protettorato francese ; fondata all’inizio del XX secolo, in seguito Redeyef venne collegata alle grandi città della costa per mezzo della ferrovia e suoi abitanti vennero sfruttati dalle autorità coloniali.

I governi post-coloniali hanno sempre considerato questa regione come un sito di sfruttamento di risorse primarie e come un bacino di mano d’opera a basso prezzo. Ma non hanno mai destinato delle vere risorse per garantirne lo sviluppo.

L’impoverimento generale e la disoccupazione crescente, soprattutto a partire dalla metà degli anni’80, hanno regolarmente provocato proteste e scontri sanguinosi. Tuttavia sono quelle scoppiate nel 2008 le manifestazioni di più grande ampiezza.

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un uomo riposa nel quartiere del souk Foto: Stefano Pontiggia

Nel gennaio alcuni giovani disoccupati si erano radunati davanti alla sede del sindacato di Redeyef e avevano cominciato uno sciopero della fame per protestare contro la manipolazione dei risultati di un concorso per l’assunzione nella «Compagnie des Phosphates di Gafsa (CPG).

Qualche settimana più tardi, lo Stato rispose con la forza e la regione venne accerchiata da migliaia di poliziotti. Le manifestazioni durarono sei mesi e vi furono cinque morti e decine di feriti e condanne a centinaia di anni di prigione.

Jahwer, un attivista di sinistra, è stato uno dei protagonisti degli scontri con la polizia. All’epoca aveva 25 anni e si ricorda delle battaglie »Durante il giorno »mi ha raccontato » non succedeva niente e la città era tranquilla. Ma la notte, dopo il tramonto, tutti i giovani di riunivano per le strade. Incitavano alla battaglia facendo rumore e in quel momento la polizia capiva che ci sarebbero stati degli scontri. La gente attirava i poliziotti verso l’interno dei quartieri popolari che per loro erano sconosciuti e lì li attaccavano nel corso di imboscate »

I disegni e i graffiti sui muri di Redeyef ricordano come gli abitanti conservino viva la memoria di quegli avvenimenti. « La gente è ancora sotto choc)per quanto è successo » ha aggiunto Jahwer.

Dopo la rivoluzione, le azioni di blocco della produzione di fosfati sono aumentate di ampiezza. Disoccupati o lavoratori precari si organizzano con regolarità, piazzando delle tende sui binari e bloccando in questo modo il passaggio dei treni che traportano i fosfati.

Non si tratta di un movimento coordinato, ma dell’azione puntuale di piccoli gruppi di persone che cercano di fare pressione sul governatorato e sui diversi governi che si sono succeduti dopo il 2011, affinché li aiutino a essere assunti nella CPG o nelle società dell’indotto.

Sulla ferrovia alcuni uomini di una trentina d’anni e più hanno installato delle tende. Ciascuno di loro ha conosciuto il lavoro stagionale sulla costa e periodi di dispoccupazione. Hanno cominciato a protestare nel 2012.

« Lo Stato ci ha fatto delle promesse che non ha mai mantenuto, non riusciamo a trovare lavoro. Io lavoravo nel turismo a Soussa e a Gerba,  ma da due anni sono disoccupato.Voglio solo rimanere qui e farmi una famiglia » afferma Mohamed, 35 anni.

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bambini giocano a calcio al limite meridionale della città Foto: Stefano Pontiggia

Fra economia informale e « grandes familles »

Tali blocchi della produzione sono innanzitutto il risultato di una politica economica e industriale troppo concentrata nella regione. La CPG, impresa onnipotente, è l’unico datore di lavoro che possa garantire un impiego sicuro, con un contratto e a lungo termine, ma non è in grado di assumere tutta la popolazione attiva. A parte la CPG, il resto dell’economica locale è quasi interamente informale.

Entrare nella compagnia dunque è difficile e per riuscirci occorre appoggiarsi alle proprie reti famigliari e alle solidarietà tribali. Un parente banchiere, sindacalista o impiegato al Ministero del Lavoro (dove si redigono le liste degli assunti) può essere d’aiuto per ottenere un posto.

Questa competizione per i posti di lavoro, in cui la famiglia allargata è fortemente coinvolta, ha contribuito in questo modo a riprodurre alcune ineguaglianze nella popolazione locale. E’ fortemente determinata dalle differenze di capitale sociale che detengono gli abitanti. Alcuni uomini in questa maniera cumulano due o tre salari, mentre altri, lavorando in nero prendono appena l’equivalente di 5 euro al giorno.

Adel, 31 anni, è disoccupato da due. Prima lavorava a Monastir nel settore turistico, ma il salario era talmente basso che non poteva neppure affitarsi una stanza per dormire. Allora ha deciso di ritornare in famiglia.

« Lo sai che c’è gente di Redeyef che lavora in Francia e nello stesso tempo prende lo stipendio da una mounawla( ditta di subappalto) della CPG ? » insorge. » E noi, qui, siamo senza lavoro. Nel bacino minerario, se vuoi trovare un impiego, devi aver un amico piazzato nei posti giusti oppure dei soldi »

Affermazioni che sono confermate da Haffa, impiegato alla CPG e da Haj Raouf, ex responsabile delle risorse umane della società. « Un mio amico » spiega Haffa «  ha una laurea in geografia. E’ un quadro in una mounawla dove prende 450 euro al mese, ma non ci lavora veramente. In realtà fa il massaggiatore e con questo lavoro prende fra i 1000 e i 2000 euro al mese. Quindi prende un salario doppio. »

Una situazione che Haj Raouf deplora : « Da noi si dice che durante il periodo di Ben Alì funzionasse il sistema koul wa akil, cioè mangiare e dare agli altri da mangiare. Al giorno d’oggi, ognuno per sé. »

Generalmente sono quelli che non hanno né abbastanza soldi per « comprarsi » un impiego, né l’accesso a reti (famigliari o di conoscenze) che lanciano le azioni di blocco della produzione.

Tuttavia, a lungo termine, tale strategia si rivela rischiosa : nel corso dei primi cinque mesi del 2015 la compagnia ha estratto le stesse tonnellate di fosfato prodotte nel solo mese di gennaio 2010. Il rischio di una chiusura è concreto e senza la CPG la regione potrebbe cadere nella miseria e nel caos.

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un murales ricorda il lavoro nelle antiche miniere Foto: Stefano Pontiggia

Ancora ai margini

La corruzione, la mancanza di opportunità dovuta alla scarsità di progetti per lo sviluppo e l’assenza di una attività economica locale duratura hanno spinto le popolazioni di queste città a emigrare verso la costa. I centri minerari in questo modo conoscono problemi sociali simili a quelli delle città da cui è partita la rivoluzione, come Kasserine e Sidi Bouzid.

« Lo Stato non ci da niente » mi dice un uomo che vive in Francia, rientrato per una breve vacanza  « La compagnia guadagna talmente tanto denaro che potrebbe distruggere Redeyef e costruirla di nuovo. E intanto noi viviamo in condizioni deprecabili. Da Gafsa fino a qui è il limite estremo della vita » Per quest’uomo, la vita non è dura soltanto a Redeyef. La città, fino al nord di Gafsa, è il confine estremo della vita, il limite fra la vita e la morte, perchè al sud, secondo lui, non c’è che « il regno della morte »

A quattro anni dalla fuga di Ben Alì la vita delle popolazioni delle regioni dell’interno del paese è dunque ancora difficile e penosa. Il loro destino è simile a quello dell'”uomo con l’asino ” di cui parla la leggenda di Abu Yazid. Durante il regno dei Fatidimi questo leader carismatico era partito a dorso del suo asino dalla regione del Djerid (Tozeur) per conquistare la capitale ; ma arrivato alle porte fu ucciso dal califfo Al-Mansur.

Allo stesso modo, durante la rivoluzione, le popolazioni del sud hanno attraversato il paese per « conquistare » Tunisi e imporre una nuova agenda politica. Oggi esse hanno l’impressione di essere state, ancora una volta, relegate ai margini.

L’articolo è apparso il 26 settembre 2015 in francese sul sito middleeasteye.net :

http://www.middleeasteye.net/fr/reportages/redeyef-ou-l-espoir-d-u-de-la-tunisie-des-marges-278252055

Traduzione dal francese a cura di Patrizia Mancini