La Tunisia guarda con ansia alla crisi in Libia

download (2)

Crédit photo. Il quotidiano.net

Lilia Blaise

Le autorità tunisine sono state fra le prime a reagire alla situazione in Libia che si trova in guerra da quando il maresciallo Haftar ha cominciato la sua marcia verso la città di Tripoli. Dal 5 aprile lo stato di emergenza è stato prolungato di un mese, “principalmente a causa degli sviluppi della situazione in Libia”, e il ministero della difesa tunisino ha dichiarato di aver rafforzato le forze militari lungo la frontiera, lunga 400 chilometri, fra i due paesi. La Tunisia aveva cominciato a erigere un muro lungo 180 chilometri dopo l’attentato di Sousa nel 2015 che fece 39 morti. L’inchiesta aveva rivelato che l’autore dell’attentato si era addestrato a Sabrata in Libia, all’epoca roccaforte del gruppo salafita jihadista di Ansar al Charia. Il 9 aprile l’ONU ha dichiarato che 47 persone sono morte e 181 ferite (ad oggi l numero dei morti si è elevato a 240, di cui 75 bambini e i feriti sono arrivati a 1400 ) nel conflitto che oppone l’esercito di Haftar al governo di unità nazionale diretto da Fayez al-Sarraj. Il 10 aprile, di fronte all’escalation dell’offensiva, l’ONU ha chiesto un “cessate il fuoco”.Abituata a essere mediatrice nei conflitti libici e spesso ospite di negoziazioni politiche riguardanti il paese vicino, la Tunisia osserva la situazione, impotente. Il presidente della Repubblica si è intrattenuto con Fayez al-Sarraj e con il rappresentante speciale del segretario delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salamé, lo scorso 10 aprile. Béji Caïd Essebsi ha rinnovato l’auspicio per una soluzione nel dialogo, per evitare l’escalation militare.

Tuttavia tutto era cominciato a Tunisi. Il 31 marzo la Tunisia accoglieva e organizzava il summit della Lega Araba, nel corso del quale era stato evocato il dossier libico a più riprese. I paesi membri hanno espresso la loro volontà perché la Libia trovasse una soluzione pacifica e non militare, senza interventi dall’estero. Qualche giorno dopo, cominciava l’offensiva del maresciallo Haftar. “Si era potuto capire già durante il summit che si stava profilando qualche cosa: la presenza del presidente egiziano Abdel Fatah al-Sissi all’ultimo minuto e il farsi avanti dell’Arabia Saudita di fronte al Qatar lo dimostrano” commenta l’analista Youssef Cherif. “Il Marocco, che è più per una soluzione pacifica che per la guerra, era assente. E Haftar aveva incontrato il re dell’Arabia Saudita qualche giorno prima. Inoltre ci sono stati molti mini-summit prima di quello a Tunisi che senza dubbio hanno determinato quanto sarebbe accaduto nelle settimane successive”.

La Tunisia, ufficialmente partigiana della pace, deve però scegliere una delle parti in campo. “Oggi la Tunisia è uno stato debole politicamente ed economicamnete” secondo l’analisi di Jalel Harchaoui, ricercatore sulla Libia all’Istituto Clingendael dell’Aia. In questo periodo d’incertezza, Tunisi sa che deve mantenere un’armonia, almeno in apparenza, con le potenze arabe più influenti. Si tratta dell’Arabia Saudita  e degli Emirati Arabi. Questi due stati sostengono Khalifa Aftar in Libia e hanno una certa influenza su Gaïd Salah nell’Algeria post-Bouteflika. Perciò, prima ancora che a delle considerazioni securitarie, la Tunisia pensa prima alla propria immagine e cerca piuttosto di allinearsi alla volontà dei paesi del Golfo, in attesa di vederci più chiaro”.

Il rischio economico in una regione già indebolita dal contrabbando

In Tunisia la situazione libica non preoccupa soltanto le forze di sicurezza, ma anche tutto il sistema economico che si è costruito sugli scambi fra i due paesi. Tripoli è il primo partner economico arabo della Tunisia e 1200 imprese tunisine sono presenti in Libia. “Dovevamo organizzare un terzo forum di affari tunisino-libico nella città di Sfax, la settimana prossima. I primi avevano funzionato bene, avevamo prospettive per investire, ma ora abbiamo dovuto rimandare tutto” dichiara Anis Jaziri, segretario generale di Tunisia Business Affairs Council , organismo che era stato molto attivo nel ristabilire scambi economici con la Libia.

Nel 2018 le esportazioni dalla Tunisia verso la Libia rappresentavano 900 milioni di dinari, ossia 275 milioni di euro, in aumento rispetto al 2017, ma lontano dalle cifre del 2009, quando le esportazioni raggiunsero la cifra di 1,72 miliardi di euro. Oltre a un’ incerta ripresa economica fra i due paesi, la frontiera è divenuta il principale luogo di passaggio per i contrabbandieri, un fenomeno in aumento dal 2011. Secondo un rapporto del’ International Crisis Group, pubblicato nel 2013, una grande quantità di droghe sintetiche e armi è circolata fra i due paesi, da dopo la rivoluzione.

La città di Ben Guerdane, rinomata per aver fermato nel 2016 un attacco di milizie libiche dell’Isis, è anche estremamente dipendente dai flussi di scambio, formali e informali, fra i due paesi.

L’allestimento di una zona franca lo scorso marzo avrebbe dovuto, secondo le intenzioni del ministro del commercio, estirpare il contrabbando e creare posti di lavoro a Ben Guerdane, ma ancora una volta il buon risultato di questi lavori dipende dall’evoluzione della situazione nel paese vicino.

La Tunisia non è in grado di gestire un afflusso migratorio simile a quello del 2011

La Tunisia si preoccupa anche delle gestione dei flussi migratori. L’ONU parla di 4500 sfollati a seguito degli scontri di questa settimana (mentre pubblichiamo la traduzione, secondo l’ONU ad oggi gli sfollati hanno raggiunto il numero di 27.000, n.d. T.) e la ONG Amnesty International mette in guardia sul fatto che i combattimenti si svolgano non lontano dai campi e dai centri di detenzione di Qasr Ben Gashir e Ain Zara, in cui si trovano quasi 1300 migranti e rifugiati, senza contare il milione di migranti, di cui 700mila rifugiati registrai dall’Organizzazione Mondiale delle migrazioni (OIM).

Se il conflitto continua, ci preoccupa molto che la Tunisia chiuda le sue frontiere. Non c’è più il campo di Choucha che era stato allestito nel 2011 e le strutture d’accoglienza dei migranti non sono adatte a un afflusso mi massa”, dichiara Magdalena Mughrabi, direttrice aggiunta di Amnesty International per Africa del Nord e Medio Oriente.

Sempre più isolata nella regione di fronte ai regimi militari che vanno profilandosi nei paesi vicini, la Tunisia teme una destabilizzazione politica. Il partito tunisino di Ennahdah, che si dichiara (musulmano-democratico” e non islamista, è al momento in testa ai sondaggi nelle intenzioni di voto , in un clima di sfiducia politica e di rischio di astensione forte per le elezioni che devono svolgersi nel 2019.

E’ stato fra i primi a reagire contro l’attacco di Haftar “Ci sono ancora minacce di gruppi terroristi a Sabrata e questo attacco è una vera minaccia al processo di stabilizzazione in Libia. Abbiamo chiesto molte volte che ci fosse il rispetto del processo organizzato dalle Nazioni Unite. Oggi quanto accade è inaccettabile. Occorre sostenere il governo riconosciuto a livello internazionale e non una guerra contro di esso”, dichiara Rafik Abdessalem, membro di Ennahdha ed ex ministro degli esteri (2011-2013).

Al contrario, la Francia di Emmanuel Macron viene molto criticata per la sua politica, giudicata ambigua da molto tempo e regolarmente accusata di sostenere senza limiti il maresciallo Haftar.

L’articolo originale è apparso sul sito di Mediapart il 14 aprile 2019.

Si ringrazia la giornalista Lilia Blaise per averci fornito il testo completo del suo articolo, altrimenti accessibile soltanto in abbonamento

Traduzione e adattamento  dal francese a cura di Patrizia Mancini