Il processo alla dittatura in Tunisia: l’eterna impazienza

Des familles de victimes de la révolution tunisienne montrent des photos de leurs proches à l’intérieur du palais de justice de Kasserine lors d’un procès organisé par l’Instance vérité et dignité, le 13 juillet 2018 (AFP)

Des familles de victimes de la révolution tunisienne montrent des photos de leurs proches à l’intérieur du palais de justice de Kasserine lors d’un procès organisé par l’Instance vérité et dignité, le 13 juillet 2018 (AFP)

Thierry Brésillon

Due anni fa, il 29 maggio 2018, si apriva a Gabes il primo processo riguardante un procedimento trasmesso dall’Istanza Verità e Dignità (IVD), incaricata di fare luce sui crimini della dittatura dal 1955 sotto Habib Bourghiba e poi sotto Zine el-Abidine Ben Ali , fino al 2013 ( dato che la competenza dell’IVD si fermava alla data della promulgazione della legge sulla giustizia di transizione).

Avrebbero dovuto comparire, di fronte a una delle tredici camere specializzate nella giustizia di transizione i responsabili del rapimento e della scomparsa di Kamel Matmati, membro del movimento islamista Ennahdha (all’epoca vietato), arrestato sul suo posto di lavoro a Gabes il 7 ottobre 1991.

La morte sotto tortura, dopo due giorni di interrogatorio, era stata tenuta nascosta fino al 2009 alla sua famiglia dalle autorità che l’avevano dichiarato “in fuga” e avevano organizzato un processo farsa, continuando a perseguitare i famigliari perché confessassero il luogo dove si nascondeva.

Il suo corpo non è stato mai ritrovato.

In realtà nessuno degli accusati era presente all’udienza, neppure rappresentato da un avvocato, mentre alcuni dei protagonisti della vicenda abitano ancora a Gabes e avevano inviato le loro mogli, in maniera discreta, fra il pubblico

Da due anni le udienze si succedono di tre mesi in tre mesi. Alla sesta, il ministro degli Interni dell’epoca si era presentato come testimone, nascosto alla vista del pubblico da un paravento, per dire che non sapeva nulla e per presentare le sue scuse alla famiglia in nome di una “responsabilità morale. Senza fornire nessuna informazione.

PROCESSI SVUOTATI DI SENSO

Dal marzo 2018 l’IVD, il cui mandato si è concluso alla fine del 2019, ha trasmesso 207 dossier (di cui alcuni a nome di più vittime) alle camere specializzate, 127 a Tunisi. Ricoprono tutte le varianti di crimini dello Stato e dei suoi protetti (ivi compresi i crimini economici) commessi fra il 1955 e il 2013.

Se solo alcune centinaia di vittime, fra le circa 50.000 persone ascoltate dall’IVD, hanno visto i loro casi trasmessi in giustizia, le informazioni raccolte dall’Istanza sui responsabili a tutti i livelli della gerarchia dei principali casi, permettono di “esemplificare tutto l’insieme della macchina repressiva”, assicura Sihem Bensedrine, la presidentessa dell’IVD.

Ma come per il caso Matmati, neanche un processo è ancora giunto a una condanna. .

Ogni settimana uno o due casi vengono evocati a Tunisi o in provincia (le udienze sono state sospese a metà marzo a causa dell’epidemia del corona virus) con lo stesso scenario che si ripete: presenze sempre più scarse, vittime o famiglie che ripetono per l’ennesima volta le loro testimonianze, testimoni più o meno diretti che aggiungono qualche precisazione e, salvo eccezione, nessun accusato né avvocato, mentre i processi vengono rimandati ogni volta, diventando eterni.

Una delle ultime udienze prima del confinamento, il 25 febbraio a Gabes, che riguardava il caso dei manifestanti uccisi a Hamma nel febbraio 2011 durante la rivolta è duranti solo il tempo di decidere la data a cui rinviarlo.

Sarra e Mabrouka Amagui, il cui fratello Nawfel è stato ucciso il 13 gennaio 2013, erano venute assieme al padre: “I poliziotti che hanno ucciso nostro fratello sono già stati condannati dal tribunale militare, ma non sono mai stati messi in prigione. Vivono completamente liberi, mentre nostra madre è morta di dolore. L’ingiustizia è insopportabile” si lamentano.

Eppure i processi sono concepiti come una tappa chiave nel processo per la riconciliazione. Rappresentano un lavoro di memoria nazionale” dichiara a Middle East Eye Khayem Chemli, che si occupa della giustizia di transizione presso Avocats sans frontières.

Costituiscono in effetti un momento simbolico di riconoscimento del carattere colpevole delle azioni delle autorità, un’occasione per le vittime di essere ascoltate dai loro carnefici e, per questi ultimi, di potersi spiegare.

Una cesura che segna la fine dell’impunità e l’instaurarsi di norme democratiche. Dei processi per la storia e per riconciliare i tunisini con le loro istituzioni. Ma non essendo riusciti a impedirli, i rappresentanti dell’ordine precedente hanno fatto di tutto per svuotarli di ogni significato.

OMERTA’

Dal 2018 i sindacati delle forze dell’ordine hanno incitato gli agenti a non rispondere alle convocazioni della giustizia e denunciato “processi d’eccezione e una flagrante violazione dei trattati e delle convenzioni internazionali, della Costituzione della seconda Repubblica, in assenza di garanzie per un processo giusto e di principi dei diritti umani”.

In realtà, sin dal 2011, la polizia sta esercitando un vero ricatto ai politici per non rendere conto della loro implicazione nella repressione. In occasione di uno dei primi processi per i martiri della rivoluzione nel 2012 commando di unità speciali arrivati da Tunisi avevano invaso il Tribunale militare del Kef per intimidire i giudici nel giorno in cui avrebbe dovuto presentarsi uno dei loro ufficiali,.

Anche se i magistrati delle camere specializzate fanno consegnare i mandati di comparizione, la polizia si rifiuta di farlo, affermando di non essere in possesso degli indirizzi. Gli accusati presentano certificati medici che dimostrerebbero che non sono in grado di comparire, mentre in realtà sono in perfetta salute.

I magistrati, sottoposti a minacce e pressioni, si trovano in una posizione delicata, poiché alcuni dei poliziotti implicati collaborano con loro nell’istruzione di alcuni altri casi” come spiegava a MEE nel dicembre 2018 Camille Henry, dell’Organizzazione mondiale contro la tortura.

Questa omertà era ancora più difficile da combattere sotto la presidenza di Béji Caïd Essebsi(deceduto a luglio 2019), dato che beneficiava di un sostegno politico ai livelli più alti.

Direttore della Sicurezza nel 1963, poi Ministro degli Interni dal 1965 al 1969, Caïd Essebsi, implicato nella esecuzione degli autori di un tentativo di colpo di stato nel 1962 e soprattutto nella repressione di militanti dell’estrema sinistra, era ostile al principio della giustizia di transizione.

Durante l’intero suo mandato non ha mai cessato di criticare “ lo spirito di vendetta” dell’IVD”, appoggiato da una parte della classe politica e dalla maggioranza dei media. Nessun rappresentante di alto rango è venuto ad assistere alle audizioni pubbliche delle vittime organizzate dall’IVD a partire dal 2016.

Persino la direzione di Ennahdha mantiene un rapporto ambivalente con la giustizia di transizione: eppure una gran parte delle vittime della violenza dello Stato proviene dalle sue fila.

Ma dal 2013 il partito islamista è impegnato in una transazione per assicurare la propria integrazione politica con i rappresentanti dell’ancien regime, sia che si trovino ancora nei circoli del potere, sia che siano ancora abbastanza influenti per poter loro nuocere. I suoi dirigenti cercano perciò di contenere l’impatto della giustizia di transizione su questo accordo.

Rached Ghannouchi, presidente di Ennhadha, proclama dal 2016 “una riconciliazione totale” del suo partito con lo Stato e, con questo spirito, si era dichiarato favorevole a un progetto di legge intitolato “ Per un’altra giustizia di transizione e una riconciliazione globale” che dovrebbe mettere fine ai processi. Presentato nel 2019, tale progetto è stato poi abbandonato sotto la pressione della società civile.

IN ATTESA DI GESTI CONCRETI

Alle difficoltà politiche si vanno ad aggiungere quelle tecniche. I magistrati delle camere specializzate non sono stati esonerati dagli altri casi e si trovano oberati. Alcune udienze hanno dovuto essere aggiornate a causa dell’assenza di uno dei giudici.

Quando si riesce a rimpiazzarli su due piedi con un magistrato di turno che non è stato formato alla specificità della giustizia di transizione, costui può solo prendere atto della testimonianza.

All’inizio di ciascun inizio dell’anno giudiziario, una parte dei magistrati, peraltro formati appositamente, vengono cambiati per decisione del Consiglio Superiore della magistratura (CSM).

Ai vertici dello Stato il clima è ormai favorevole: la relazione finale dell’IVD, resa pubblica il 26 marzo 2019 dovrà essere pubblicata prossimamente sull’equivalente della nostra Gazzetta ufficiale N.d.T.)

Tuttavia le organizzazioni attendono gesti concreti da parte del Ministero della Giustizia e del CSM per accelerare lo svolgimento dei processi che devono riprendere il 15 giugno.

« In particolare è necessario che i presidenti delle camere specializzate siano esonerati dagli altri casi e che una soluzione sia prevista per rimpiazzarli in caso di assenza. Occorre che siano applicati i mandati di comparizione”, secondo Khayem Chelmi.

« L’IVD ha avuto il tempo di istruire soltanto 69 dossier, sul totale di quelli trasmessi, prosegue, ”Gli altri hanno scarse possibilità di arrivare a compimento”.

« LA GIUSTIZIA DI TRANSIZIONE E’ UN RAPPORTO DI FORZE”

Per tentare di tener in vita questo percorso malgrado gli ostacoli, si sono mobilitate alcune associazioni delle vittime. Sono riuscite a superare la diffidenza reciproca fra islamisti e vecchi militanti dell’estrema sinistra e si organizzano per assistere alle udienze e mantenere la pressione sui poteri pubblici con il sostegno di organizzazioni nazionali e internazionali e si sono raggruppate nella Coalizione per la giustizia di transizione.

Elmy Khadhri, ex militare e membro di Ennahdha, è oggi responsabile dell’associazione al-Karama. Era stato condannato per aver preso parte al progetto di colpo di Stato contro Habib Bourghiba , previsto l’8 novembre 1987 e anticipato di 24 ore da Ben Alì.

« Siamo stati vittime di una campagna diffamatoria, si vuol far credere che siamo mossi da interessi pecuniari, cercano di dividerci, ma per quel che mi riguarda considero già come una vittoria il fatto che il mio caso venga esaminato da un giudice libero, questa è già una forma di risarcimento” ha dichiarato a MEE.

Ma questo appagamento personale non gli fa perdere di vista la necessità di ottenere delle condanne: “Bisognerebbe che almeno due processi arrivino alla fine, sarebbe un segnale simbolicamente potente per far capire alla polizia che non esistono scappatoie”

Ridha Barakati anima un’altra associazione che collabora con al-Karama. Nel novembre 2016, in occasione di una audizione pubblica, aveva portato una testimonianza agghiacciante del modo in cui suo fratello Nabil Barakati, animatore culturale e militante comunista, era stato ucciso al commissariato di Gaafour nel maggio 1987 (quando Bourghiba era ancora presidente).

Ridha Barakati, audizione pubblica delle vittime della dittatura, novembre 2016 Crédit photo IVD Media center

Ridha Barakati, audizione pubblica delle vittime della dittatura, novembre 2016
Crédit photo IVD Media center

L’anno scorso aveva incontrato l’allora ministro per i Diritti Umani Mohamed Fadhel Mahfoudh, autore del progetto di legge che mirava a fermare i processi e gli aveva detto: “Voi state mandando il paese in un tunnel alla fine del quale vi sono fuoco, cenere e sangue. Non è compito dello Stato perdonare i carnefici, spetta alle vittime. Sapete quanti uomini in questo paese hanno avuto un bastone infilato nell’ano? Quante donne sono state violentate dagli agenti dello Stato? Credete che perdoneranno così, come se niente fosse? “

E aggiunge : « Malgrado il dolore, non voglio disperarmi. Voglio la giustizia di transizione in tutte le sue tappe. Voglio la verità, delle scuse e che ci venga restituita la dignità. Altrimenti ci saranno i tribunali popolari! La giustizia di transizione è un rapporto di forze”.

L’articolo originale è apparso il 29 maggio 2020 sul sito Middle East Eye

Traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini