Radicalizzazione e movimenti sociali: stesso contesto, battaglie diverse

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Olfa lamloum, Choukri Hmed e Hamza Meddeb (Crédit photo Hammadi Lassoued Nawaat.org)

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Henda Chennaoui

Nonostante la repressione, i movimenti sociali sono in continuo aumento in tutte le regioni della Tunisia. Mentre i sit-in degli operai della fabbrica di cavi al Kef proseguono da una decina di giorni, gli abitanti di Tataouine sono al loro tredicesimo giorno di contestazione e non sembrano pronti a rinunciare al diritto allo sviluppo regionale, al lavoro e a una distribuzione equa degli introiti provenienti dalle risorse petrolifere del territorio.

Dal 23 marzo si moltiplicano a Tataouine sit in di disoccupati, di operai e cittadini, manifestazioni e blocchi delle strade che collegano le piattaforme petrolifere alle altre città. Dopo vani tentativi di reprimere la contestazione, il governo ha inviato in loco una delegazione ministeriale il 4 aprile, per trattare con i disoccupati e gli abitanti.

La tardiva visita del Ministro degli Affari sociali non sembra aver calmato la collera degli abitanti.

Mentre i media mainstream continuano a stigmatizzare i movimenti sociali, alcuni intellettuali cercano di fornire una visione oggettiva della contestazione. A margine della Fiera Internazionale del Libro al Kram il 1° aprile tre ricercatori tunisini si sono espressi sui movimenti sociali e la radicalizzazione. Moderato da Romdhane Ben Massoud, il dibattito ha dato la parola agli studiosi di scienze politiche Olfa Lamloum, Choukri Hmed e Hamza Meddeb, che, partendo dai loro lavori e dalle loro analisi sul terreno, hanno messo in evidenza i legami fra radicalizzazione e movimenti sociali in Tunisia.

Nella totale assenza dei media, i tre politologi hanno ricordato, ognuno a suo modo, come sia necessario aprire un dibattito razionale, franco e non soggetto a pressioni politiche, al fine di uscire dall’attuale impasse.

Olfa Lamloum, ricercatrice in scienze politiche e direttrice dell’ufficio tunisino di International Alert, coautrice dell’opera  Les jeunes de Douar Hicher et d’Ettadhamen – une enquête sociologique, lavora anche su Kasserine e Ben Guerdane. Rileva che le due parole che si ripetono più spesso quando si chiede ai giovani di Douar Hicher e di Ettadhamen come sentono di essere percepiti dagli altri sonodisprezzo e criminalità”. Per i giovani di Kasserine sono inveceoblio e marginalizzazione”, mentre i giovani di Ben Guerdane evocanola punizione e la marginalizzazione”.

“Queste parole traducono la spoliazione simbolica dei diritti, della dignità e della cittadinanza. Una spoliazione sociale e storica che opprime queste zone ai margini. Queste parole ci ricordano che, a sei anni dalla destituzione di Ben Alì, la contestazione parte principalmente dalle regioni. Tale contestazione rappresenta, fino a oggi, la principale rappresentazione dei tentativi di dissidenza nel paese”

afferma Olfa Lamloum che spiega come i movimenti sociali condividano con gli ambienti radicali legati al jihadismo degli spazi stigmatizzati, in cui le popolazioni sono emarginate allo stesso tempo socialmente, materialmente e dal punto di vista securitario.

Secondo Choukri Hmed, docente di scienze politiche all’Università paris Dauphine, la radicalizzazione non riguarda solo gli ambienti della destra, ma anche quelli dell’estrema sinistra.

“Tuttavia la radicalizzazione non può diventare un contenitore dove si fa entrare di tutto. Dire che gli estremi si toccano ogni volta è completamente falso. La radicalizzazione dei movimenti sociali di sinistra e quella di coloro che scelgono l’altra strada, quella del jihad, è profondamente diversa. “

afferma Choukri Hmed che dal 2011 studia i più disparati movimenti in varie regioni del paese e ha intervistato decine di giovani salafiti. Ha anche ricordato come, contrariamente a quanto vanno ripetendo i media dominanti, partire per la Siria o per la Libia non si fa per un colpo di testa.

“Non è una decisione isolata da un contesto sociale è in questo che la radicalizzazione trova le sue origini”spiega Hmed, precisando che studiare le origini di tale radicalizzazione non è un compito facile nell’attuale contesto securitario.” la ricerca sociologica è quasi assente in Tunisia. Abbiamo molto da fare per chiarire la riflessione, sia che essa porti sull’evoluzione dei movimenti sociali o su quella della radicalizzazione dei giovani. La stigmatizzazione dei sociologi che vediamo in Francia ( come quando Valls parla della sociologia come “cultura della giustificazione” all’indomani degli attentati del 13 novembre 2015) non deve frenare il lavoro sul terreno e il proseguimento delle ricerche”

Hamza Meddeb, ricercatore presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze, comincia il suo intervento con una constatazione condivisa dalla maggioranza degli studiosi di movimenti sociali

”La principale radicalizzazione di cui si è testimoni in Tunisia è quella della criminalizzazione dei movimenti sociali i quali, nonostante l’accanimento giudiziario e poliziesco, hanno conservato il loro carattere pacifico. Il sottosegretario per le terre demaniali che ha qualificato gli abitanti di Jemna come estremisti è l’esempio perfetto di questa criminalizzazione radicalizzatasi”.

Secondo Meddeb le tensioni con la polizia e il numero crescente di arresti di protagonisti dei movimenti sociali è il punto in comune che questi ultimi hanno con i “salafiti”, messi arbitrariamente nello stesso sacco dei terroristi.

Il malessere dei giovani è causato dalla totale assenza di un offerta politica radicale. In altri termini, l’assenza di un’offerta politica in grado di cambiare la loro realtà, di farli uscire dal loro isolamento e di realizzare le promesse della rivoluzione. La sinistra non è più capace di riunirli, la destra nemmeno, mentre il jihadismo offre loro un progetto comune che ha il potere di riunire le anime smarrite”

conclude Hamza Meddeb.

L’articolo originale è apparso il 5 aprile 2017 sul sito Nawaat.org

Traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini