Tunisia : elezioni presidenziali nella nebbia

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I 26 candidati alle elezioni presidenziali del 15 settembre 2019 Crédit photo: Tunisie Numerique

Thierry Brésillon

Sarà proprio un genio chi riuscirà a indovinare quale presidente uscirà dalle urne alle prossime elezioni e anche chi saranno i due finalisti designati fra i 26 candidati dal primo turno del 15 settembre. Lo scrutinio, inizialmente previsto per il 17 novembre, è stato anticipato a seguito del decesso del presidente Béji Caïd Essebsi lo scorso 25 luglio. Qualche mese prima, nel vuoto lasciato dal massiccio discredito della classe politica la cui entità era venuta fuori dalle elezioni municipali del 2018 (con un tasso di partecipazione al voto del 33,7%, n.d.T.) il primo ministro Youssef Chahed sembrava beneficiare del doppio vantaggio di non essere coinvolto nella decomposizione affarista di Nidaa Tounes, il partito che aveva portato Béji Caïd Essebsi al potere, e di avere in mano le leve del governo. Anche se continuava a alimentare dubbi sulla possibilità di candidarsi – avrebbe potuto conservare il suo posto di primo ministro e piazzare un suo alleato alla presidenza – la sua giovane età e la sua esperienza di potere lo rendevano un potenziale favorito.

L’IRRUZIONE DEI POPULISTI

Ma il bilancio ben misero del suo governo gli hanno fatto perdere il vantaggio della novità mentre lo scenario si complicava con l’emergere di figure arrivate a riempire il vuoto fra lo Stato e la popolazione. In particolare Abir Moussi la quale rivendica il suo essere erede dell’ancien régime, guidata dalla nostalgia di uno Stato “forte”, ma persona troppo controversa per rappresentare un vero pericolo. Ma soprattutto Nabil Karoui, magnate della comunicazione e della televisione, fondatore di Neesma TV nel 2007, che dal 2015 ha percorso in lungo e in largo le regioni dimenticate del paese con la sua associazione caritativa Khalil Tounès e pubblicizza queste azioni di beneficenza sul suo canale TV. Nonostante questa generosità evochi più le distribuzioni che avvenivano durante il periodo del Rassemblement constitutionnel démocratique (RCD),secondo il sistema clientelare controllato dal potere sotto il regime piuttosto che un vero sistema di welfare, Karoui è riuscito ad accumulare capitale politico, rispondendo ai bisogni di prossimità di una popolazione direttamente colpita dalla frattura fra le due Tunisie.

Candidatosi ufficialmente lo scorso 28 maggio, due settimane più tardi un sondaggio lo piazza in testa. Un segnale pericoloso, quanto basta al governo per tentare una manovra disperata introducendo il 18 giugno degli emendamenti alla legge elettorale per sbarrargli la strada. Ma la legge non fu firmata in tempo da Essebsi e quindi non è stato possibile applicarla. L’arresto di Nabil Karoui, il 23 agosto, a seguito di un mandato d’incarcerazione nel quadro dei procedimenti giudiziari a suo carico per frode fiscale, ha tutte le apparenze di una strumentalizzazione politica della giustizia. La velocità dell’esecuzione del mandato, emesso la mattina stessa nel periodo delle ferie giudiziarie, potrebbe essere interpretata come volontà di impedire a Nabil Karoui di beneficiare dell’immunità in caso di elezione, oppure, più banalmente, come volontà di eliminare un rivale. Pur in detenzione, egli rimane candidato e oramai appare come vittima di quelle che i suoi sostenitori qualificano “pratiche fasciste”.

LA FIGURA ASSENTE DEL PADRE DELLA NAZIONE

Con la morte di Béji Caïd Essebsi il paesaggio politico ha liberato uno spazio nuovo, quello del “padre della Nazione”, del guardiano della stabilità dello Stato. Criticato fino ai suoi ultimi giorni, il vecchio discepolo di Bourghiba era tuttavia l’ultimo in carica della generazione dei fondatori dello Stato indipendente (insieme a Mohamed Ennaceur, presidente del Parlamento che assicura l’interim). La sua scomparsa ha messo in luce la mancanza di una figura rassicurante fra novizi, demagoghi e ambiziosi.

Ciò è risultato ben chiaro all’entourage del presidente e ha spinto Abdelkrim Zbidi, ministro della difesa, ad assumere questo ruolo. Zbidi si è fatto vedere in compagnia di Béji Caïd Essebsi il 22 luglio, in occasione della sua ultima apparizione pubblica ed è stato lodato per l’organizzazione delle esequie. E’ stata una campagna su Facebook che gli ha chiesto di presentarsi e lui ha accettato, “ come un soldato”, di candidarsi in questi tempi cupi. Candidato indipendente, ma con il sostegno del figlio del presidente Hafedh Caïd Essebsi, ancora dirigente di Nidaa Tounes; una manna per Hafedh che ormai si credeva fuori dai giochi dopo la decomposizione del suo partito. L’elezione di Abdelkrim Zbidi permetterebbe al clan Caïd Essebsi raggiungere l’obiettivo per il quale combatte da cinque anni: restare nei circoli del potere dopo la morte del padre.

Originario di Mahdia, settant’anni Abdelkrim Zbidi gode anche del sostegno, per nulla trascurabile, delle élites del Sahel che si considerano gli edificatori dello Stato dal 1956 e che sperano con lui di ritrovare il proprio ruolo, perduto con la rivoluzione. Tuttavia, pur godendo del prestigio che ha l’esercito presso la popolazione, il meno che si possa dire è che non ha l’eloquenza del vecchio avvocato che era la caratteristica di Béji. Un grave handicap per una campagna e per una funzione per la quale il potere della parola conta quanto le prerogative costituzionali.

EGEMONIE FALLITE

La comunicazione non è l’unico problema del candidato Zbidi. Almeno una mezza dozzina di candidati, oltre a Youssef Chahed, tentano di accaparrarsi l’eredità della famiglia desturiana (espressione del movimento nazionale) e le spoglie di Nidaa Tounes. Senza disporre di una vera proposta politica, e senza incarnare una figura presidenziale significativa, sembrano soprattutto disputarsi l’onore di applicare il programma economico ispirato dai finanziatori internazionali. Potrebbero probabilmente compromettere collettivamente le possibilità della loro famiglia politica di essere presenti al secondo turno.

L’inversione del calendario elettorale – le legislative mantenute alla data del 6 ottobre, quindi dopo le presidenziali – ha obbligato il partito islamista Ennahdha a infrangere la sua regola d’oro : non ritrovarsi isolato in posizione di potere, situazione che riunirebbe tutti i suoi avversari contro di lui. Ma il partito non poteva permettersi di restare in silenzio durante questa campagna elettorale che precede le legislative. Ha designato un candidato alle presidenziali e, in contrasto con l’opinione del suo presidente, un candidato espressione del partito: Abdelfattah Mourou. Avvocato di Tunisi, attualmente presidente ad interim del Parlamento, è un personaggio al tempo stesso atipico e popolare nel suo partito. Eloquente, persino malizioso, è in grado di sedurre anche al di fuori dell’elettorato abituale del suo partito. Però si troverà di fronte da una parte l’ex segretario di Ennahdha e primo ministro dalla fine del 2011 al 2013, Hamadi Jebali, in rottura con il partito dal 2015. Dall’altra la base elettorale di Ennahdha che potrebbe essere più attirata da candidati che meglio incarnano la rottura con l’ancien régime, come Moncef Marzouki, già presidente della Repubblica all’epoca della Costituente. Oppure Kaïs Saïed, professore di diritto costituzionale e nuovo arrivato in politica, con una reputazione di integrità morale e di vicinanza agli ideali della rivoluzione e che recentemente ha mostrato di avere posizioni conservatrici sulle problematiche legate alla società tunisina.

Oltre alla difficoltà di radunare ognuno la propria famiglia politica intorno a un candidato naturale, desturiani e islamisti apparentemente fanno fatica a trasformare la loro eredità politica in un vero progetto, per mancanza di legami con forze sociali. Si tratta di due egemonie potenzialmente concorrenti, l’una stabilizzatasi ma disunita, l’altra ancora alla ricerca di accettazione, ma entrambe mancanti di attualizzazione.

UNA SINISTRA DIVISA E ISOLATA

In questa situazione potrebbe imporsi una figura che incarni una nuova forza?Il Fronte popolare, unione dei due fratelli-nemici dell’estrema sinistra, la sinistra marxista e i nazionalisti arabi, si è diviso e presenta due candidati: Hamma Hammami, oppositore storico alla dittatura, alla testa del Partito dei lavoratori (ex partito comunista degli operai tunisini, PCOT) che non è riuscito a costruire una forza popolare di trasformazione; e Mongi Rahoui, più all’avanguardia sulle problematiche identitarie che sulle questioni sociali.

La maggior parte delle forze socialdemocratiche si sono unite dietro la candidatura di Abid Briki, nazionalista arabo e una delle principali figure della burocrazia sindacale all’epoca di Ben Alì. Il movimento Ettakatol, vecchio partito dell’opposizione clandestina, oggi quasi sparito dalla scena politica, presenta Elyes Fakhfakh, ministro delle Finanze tra il 2012 e il 2014, il cui inizio di campagna suscita l’interesse dei progressisti. Mohamed Abbou, per Corrente Democratica, spinto dal relativo successo alle municipali del 2018, fa campagna contro la corruzione e il perdurare delle pratiche dell’ancien régime, ma le sue posizioni economiche sono piuttosto liberali.

UNA PRESIDENZA PARADOSSALE

Appare paradossale un tale investimento politico e l’asprezza della battaglia in queste presidenziali, in un regime teoricamente parlamentare, concepito proprio per prevenire il ritorno del potere personale. Le elezioni più importanti dovrebbero essere le legislative e il posto più ambito quello di primo ministro. Ma il peso del suffragio universale, la persistenza dell’immaginario del potere personalizzato, l’ibridità della Costituzione che mantiene delle possibilità di potere politico specifiche del Capo dello Stato, l’impronta di Béji Caïd Essebsi che ha cercato di massimizzare le sue prerogative costituzionali e, per finire, il fatto che il primo turno delle presidenziali si tenga prima delle legislative, contribuiscono a restituire preminenza alla funzione presidenziale.

Ciò che persiste al di là della ambivalenza di quanto è scritto nella Costituzione è il fatto che questa istituzione sia sempre stata, anche ai tempi della monarchia husseinita (1705-1955), il luogo centrale per la gestione degli equilibri fra clan politici e affaristi, a beneficio dei protetti dal potere (il che non ha niente di specificatamente tunisino).

UN’ELEZIONE APERTA

E’ questa la posta in gioco, sempre più esplicita, in questa elezione (l’integrazione o l’esclusione di Ennahdha dal potere, che era l’ossessione del 2014, è passata in secondo piano). La questione del ruolo del presidente nell’attuale regime diventerà nelle prossime settimane, probabilmente anche oltre, una delle questioni politiche. Deve essere un leader, un dirigente che applica un progetto politico? Oppure una autorità al di sopra dei partiti, che lascia al Parlamento a al governo l’esercizio pieno del loro potere costituzionale? I tunisini accetteranno che resti il rappresentante di una coalizione di interessi che controlla la distribuzione delle risorse dello Stato, oppure l’obiettività delle istituzioni e le esigenze della società trasformeranno il suo ruolo?

La maggior parte dei candidati mostra chiaramente la volontà di essere leaders forti, in sincronia con l’atmosfera “cesarista”del momento, dopo anni di espansione dell’autorità dello Stato, di litigi parlamentari, di sovranità nazionale degradata a causa dell’influsso di attori stranieri.

In ogni caso chi sarà eletto rimarrà tributario degli equilibri che si produrranno all’indomani delle elezioni legislative. Governare con o senza Ennahdha ritornerà allora a essere una questione di primo piano.

Malgrado le imperfezioni della sua democrazia (influenza sulla giustizia, l’intreccio fra economia e politica, tentazioni autocratiche, una pletora di candidati in competizione, assenza di problematiche sociali…), la Tunisia vive un’elezione presidenziale certamente sotto tensione, ma libera e aperta, come pochi altri paesi conoscono.

L’articolo originale è apparso il 5 settembre 2019 sul sito Orient XXI

Traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini