Béji Caïd Essebsi: bilancio di una presidenza

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Crédit photo. AFP

Thierry Brésillon

Il presidente tunisino Béji Caïd Essebsi, 92 anni, è deceduto il 25 luglio, qualche ora dopo il suo ricovero in ospedale in terapia intensiva. Primo presidente eletto a suffragio universale nel 2014, Essebsi è morto qualche mese prima della fine del suo mandato.

Quando alla fine di febbraio nel 2011 i manifestanti venuti dalle regioni per accamparsi sulla piazza della Kasbah, davanti alla sede del Primo Ministro, esigono la dipartita di tutti i ministri dell’ancien régime, Mohamed Ghannouchi, capo del governo dal novembre 1999, cede alle pressioni.

Presidente ad interim dal 15 gennaio 2011, Fouad Mbaaza ha due nomi sul tavolo per rimpiazzarlo:

Mohamed Ennaceur e Béji Caïd Essebsi. Decide per il secondo con il quale ha già lavorato tra il 1965 e il 1967, quando Béji Caïd Essebsi (BCE) era Ministro degli Interni e lui direttore della Sicurezza.

Il miracolato della Kasbah

Questo redivivo deve forse la sua fortuna alla baraka (benedizione) di Sidi el Béji, il santo sepolto nel mausoleo di Sidi Bou Said, alla periferia di Tunisi, dove sua madre l’ha dovuto partorire, mentre si trovava in visita al proprio padre? A questa circostanza deve il suo nome, ma la grazia non è stata sicuramente sufficiente a posizionarlo in primo piano dopo la rivoluzione. Caduto nell’oblio, il suo nome non evoca nulla alla nuova generazione di tunisini. Troppo vecchio (84 anni) per sospettare che voglia intraprendere una carriera di dittatore, non è visto come concorrente dai suoi vecchi oppositori, ammessi finalmente sulla scena politica.

Una parte della sinistra che è passata tra le mani dei torturatori del Ministero degli Interni si ricorda del suo passaggio in questo ministero, ma la loro opposizione pesa poco.

Per quanti temono lo scatenamento di energie incontrollabili all’indomani della partenza di Ben Alì e la minaccia per l’ordine sociale che rappresenta l’irruzione di chi era stato emarginato dalla vita politica, Béji Caïd Essebsi è rassicurante data la sua appartenenza alla generazione dei padri fondatori dello Stato e per la sua esperienza nei ministeri più importanti – gli Interni, La Difesa e gli Esteri. In effetti colui il quale guiderà la politica tunisina in piena rigenerazione post-dittatura, è stato plasmato alla scuola del potere bourghibista.

Pronipote di un prigioniero sardo, ammesso al Palazzo del Bey nel 1810 come responsabile del cerimoniale del tabacco – da cui proviene il nome di Caïd Essebsi (il maestro delle pipe)- egli appartiene a una famiglia assimilata dall’aristocrazia tunisina, i beldi, grazie alle alleanze matrimoniali.

Uomo di fiducia e discepolo di Bourghiba che ha incontrato a Parigi nel 1951, è stato suo ministro degli Interni tra il 1965 e il 1969, nel momento in cui il carattere autoritario e repressivo si andava svelando, prima di prenderne le distanze nel 1971, dopo il rifiuto di Bourghiba di democratizzare il partito unico, cioè il Partito socialista Destour (costituzionale). Pubblica all’epoca una tribuna su Le Monde, il 12 gennaio 1972, “Le ragioni di un commiato” che resterà il suo unico atto di opposizione al regime. Rieletto deputato a Tunisi nel 1989, dopo l’arrivo al potere di Ben Alì, presidente del Parlamento fino al 1994, membro del Comitato Centrale dell’RCD (il partito al potere) dal 1988 al 2003, non esprimerà mai la minima rivendicazione democratica né la più piccola critica pubblica. Preferendo la discrezione, lascia la vita politica per riprendere le attività di avvocato. Il suo profilo perciò lo destinava a osservare gli eventi del 2011 piuttosto da uomo del passato. Fino al miracolo della Kasbah.

La rivoluzione “bourghibizzata”

Quando diventa Primo Ministro nel febbraio 2011, porta con sé soltanto un’esperienza di Stato e un’abilità tattica fuori dal comune, mette a capo del governo una visione politica che Hélé Béji, che ne faceva un ritratto agiografico nel 2012, riassume in questo modo: “Egli intende dire che la rivoluzione non è una rottura con lo Stato nazionale, che non è un fenomeno che si pone fuori dal tempo in una alterità radicale rispetto alla storia”.

Le rotture rivoluzionarie portano con sé generalmente la loro parte di illusioni e le continuità vanno a inserirsi anche nei tempi nuovi, ma con Béji Caïd Essebsi esse hanno trovato chi le fa passare, chi è ben deciso a minimizzare la dinamica di rottura del cambiamento di regime e a iscriverlo nella continuità della narrazione nazionale.

Nel frattempo, le cause delle rivolte popolari diventano ragioni strutturali – il modello economico, le fratture territoriali, il rapporto di estraneità dello Stato rispetto alla società …- il che avrebbe invece richiesto delle rotture storiche.

Il suo ritorno alla politica offre a questo discepolo di Bourghiba la possibilità di completare l’opera del suo maestro, di riconciliare “l’azione nazionale e lo spirito democratico”, “Dietro lo scettro del Combattente supremo (così veniva chiamato Bourghiba N.d.T.), egli ha saputo cogliere “il buon seme consensuale e liberale del bourghibismo” secondo la formula di Hélé Béji.

I limiti politici di Béji Caïd Essebsi

Se la tribuna pubblicata su Le Monde nel 1972 offre una chiave di lettura essenziale per comprendere la traiettoria di Béji Caïd Essebsi, essa indica anche i limiti entro i quali egli intenda circoscrivere l’evoluzione del sistema politico.

Tanto più che egli si porta appresso delle reti, neanche quelle dei “liberali” del Partito Destour passati all’opposizione, ma quelle fedeli al movimento del Destour, gli alti funzionari che si sentono minacciati dai “dégage”, tutti quelli che temono un processo, gli ambienti d’affari preoccupati dalla fragilizzazione dei loro protettori nell’amministrazione.

Autore di una lettera aperta a Ben Alì nel luglio 2001 in cui deplorava la mancanza di indipendenza della giustizia, l’ex giudice Mokhtar Yahyaoui ci raccontava nel 2014: “Ho incontrato Béji Caïd Essebsi per proporgli di espellere quei giudici che erano stati nominati ai più alti gradi sotto Ben Alì, sicuramente come contropartita alla loro fedeltà al regime e per invitarlo a intraprendere riforme strutturali, Ma ho capito che non voleva fare nulla. “

Uno dei rari conflitti che avrà con la la Haute instance pour la réalisation des objectifs de la révolution, de la réforme politique et de la transition démocratique, quasi un Parlamento di fatto, precedente alla elezione della Costituente, riguarderà l’interdizione per gli ex membri dell’RCD a presentarsi alle elezioni.

Mentre l’Instance proponeva l’ineleggibilità per tutti i membri dell’RCD che avessero occupato posti di responsabilità in seno al partito o nel governo durante i 23 anni di potere di Ben Alì, Béji Caïd Essebsi si era opposto a questa misura (che l’avrebbe riguardato). Alla fine l’esclusione venne dichiarata sulla base di una lista nominativa che si basava de facto sugli ultimi dieci anni

Infine, nella stessa logica, il 22 ottobre 2011, alla vigilia delle elezioni in cui si prevede la vittoria di Ennahdha, Béji Caïd Essebsi firma un decreto legge che limita a quindici anni la prescrizione per gli atti di tortura, impedendo cosi’ allo Stato di perseguire i torturatori per fatti anteriori al 1996, cioè per il periodo in cui la repressione dei membri del partito islamista era stata la più feroce.

L’uomo del patto

Cinque giorni dopo le elezioni, il 28 ottobre 2011, secondo la testimonianza di suo figlio, Hafedh Caïd Essebsi, gli viene l’idea di creare un movimento politico per controbilanciare il peso egemonico che sembra rappresentare stabilmente Ennahdha.

Fin dalle prime settimane del 2012, una campagna di comunicazione diffonde l’idea che egli sarebbe l’uomo provvidenziale atteso dai tunisini.

Fondata nel maggio 2012, Nidaa Tounes si piazza subito allo stesso livello di Ennahdha nelle intenzioni di voto.

Le tensioni del 2013 creano una dinamica favorevole a una forza di opposizione: il clima sociale, la pressione di Ennahdha per orientare la Costituzione in senso islamista, l’assassinio di Chokri Belaid, il 6 febbraio 2013, poi quello di Mohamed Brahmi il 25 luglio, il colpo di stato in Egitto il 4 luglio permettono a Nidaa Tounes di capitalizzare sul malcontento. Pongono inoltre Béji Caïd Essebsi in posizione di forza per negoziare con Ennahdha che è sotto pressione e in cerca di un interlocutore in grado di canalizzare le forze ostili per stabilizzare la propria integrazione nel sistema politico.

Dopo la caduta dell’RCD, il vecchio ordine non aveva più alcun rappresentante, una situazione che alla fine poteva rivelarsi pericolosa per una transizione.

Béji Caïd Essebsi incarnerà tale ruolo. Mentre aleggia un odore di colpo di mano all’egiziana e di “guerra civile”, il suo incontro a Parigi, nell’agosto 2013, con Rached Ghannouchi, il presidente di Ennahdha, fa rientrare la Tunisia in una logica di transizione patteggiata. Dopo cinque mesi di crisi, il raggiungimento in extremis del Dialogo Nazionale, il 19 dicembre 2013 stabilizza la situazione. « Béji Caïd Essebsi era deluso dal successo del Dialogo Nazionale” ci confidava nel gennaio 2014 uno dei negoziatori di Rached Ghannouchi.

In cambio dell’assicurazione fatta a Ennahdha di restare al governo fino all’adozione della Costituzione, ottiene due cose. Da una parte la rinuncia al progetto detto di “immunizzazione della rivoluzione” che avrebbe dovuto rendere non eleggibili tutti gli ex quadri dell’RCD. Dall’altra, l’eliminazione del limite dei 75 anni per i candidati alle presidenziali. La strada per il potere gli è ormai spianata.

Il presidente della stabilità

Per le presidenziali del 2014 è il candidato dell’amministrazione e degli ambienti degli affari, delle reti del vecchio RCD riattivate a suo profitto., della borghesia di Tunisi che lo riconosce come uno dei suoi e di quella del Sahel che lo investe dell’eredità buorghibista , di una parte della sinistra che ha fretta di garantire e prolungare le acquisizioni moderniste. Il suo spirito vivo malgrado l’età, l’umorismo malizioso, il fiuto politico seducono. La sua promessa di tornare al “prestigio dello Stato” vuol dire che la parentesi della rivoluzione si deve chiudere.

E quello che buona parte del suo elettorato intende è l’esclusione degli islamisti dal potere.

L’altro leitmotiv della sua campagna è di strappare la Tunisia dalle mani di quelli che la vogliono”riportare al VII secolo”, cioè Ennahdha. Ma il candidato possiede un più spiccato senso dei rapporti di forza dei suoi sostenitori visceralmente anti-islamisti.

Alcuni paesi ci dicono, non possiamo aiutarvi fintanto che avete gli islamisti” ci rivelava nel novembre 2014, intendendo tacitamente gli Emirati Arabi Uniti. “In un altro paese li avrebbero passati alla ghigliottina […], ma il partito è evoluto sotto l’ala di Rached Ghannouchi” riconosceva” e noi ci troviamo in un momento di ricostruzione e non più di opposizione”.

Eletto il 21 dicembre 2014 con il 55,68% dei suffragi, mette in pratica questa sua analisi e, nel febbraio 2015 viene formato un governo al quale Nidaa Toues e Ennahdha, alleati, garantiscono una maggioranza teoricamente inaffondabile, ossia 155 seggi su 217. Il discepolo di Bourghiba che sogna di riconciliare lo Stato forte e la democrazia ha un viale davanti a sé.

Ma l’anno 2015 si rivelerà tragico con tre attentati omicidi. I primi due, a marzo e a giugno, prendono di mira siti turistici e interrompono la ripresa del settore e la dinamica economica. Il terzo colpisce la guardia presidenziale alla fine di novembre.

Il 4 luglio 2015 Béji Caïd Essebsi pone la Tunisia nello stato di emergenza, andando controcorrente rispetto alla Costituzione che dà la priorità al consolidamento dei diritti e delle libertà. La sicurezza ritrova il suo potere strutturante nei discorsi e nelle scelte politiche. Ma la strategia d’alleanza stabilizza la situazione interna e permette di consolidare il posto della Tunisia nella strategia occidentale della sicurezza.

Ma al di là di questo?

Una presidenza senza progetto

Se il suo quinquennio non sembra animato da uno slancio di trasformazione, è anche perché non è stato portatore di alcun grande progetto ispirato dalla rivoluzione, per la quale l’uomo non ha mai provato un grande amore. In un’intervista nel settembre 2017, del resto, qualificò “i momenti rivoluzionari” come “ricette vendicative e rancorose”.

Più significativo il primo progetto di legge d’iniziativa presidenziale annunciato nel marzo del 2015 e presentato a luglio, prevede sotto la copertura di “riconciliazione” una amnistia per gli uomini d’affari e i funzionari che abbiano commesso crimini economici sotto l’ancien régime.

Un favore ricambiato a chi l’ha sostenuto nella conquista del potere? Una volontà di ristabilire il vecchio metodo di articolare economia e politica? Le proteste provocate dal suo progetto lo obbligano a rinunciarvi.

Ma la sua concezione della politica del passato lo conduce più verso il modello che è stato seguito in Spagna dopo la morte di Franco, un “patto dell’oblio” che vieta di evocare i crimini politici. E non a caso, perché i dossier depositati a l’Instance Verité et Dignité da ex militanti del movimento di sinistra Perspectives, torturati e condannati alla fine degli anni ’60 quando era ministro degli Interni, condurranno al trasferimento del suo dossier alla giustizia.

Piuttosto che dalle prove dei vinti, egli preferisce trarre ispirazione dall’esempio di Bourghiba. Nel 2016 fa reinstallare al centro di Tunisi la statua equestre di Bourghiba, relegata da Ben Alì all’entrata del porto alla Goulette. Ma tale totem è ancora abbastanza potente da ispirare il presente? In fondo è tutto qui il paradosso della presidenza di Béji Caïd Essebsi, era in comunicazione con degli spiriti forti, ma per quale progetto?

In occasione di una conferenza a Tunisi nel marzo 2015 in presenza della segretaria americana al commercio e di Madeleine Albright, userà tale formula: “Come Habib Bourghiba ha modernizzato la società, io modernizzerò l’economia”.

Progetto lodevole, ma in quale direzione? Di fatto le riforme prospettate dai governi che si sono succeduti prolungano le tendenze del modello economico in atto, fondato sulla vocazione esportatrice della Tunisia e sono in realtà ispirate dai finanziatori internazionali, ma chi detiene posizioni di rendita resisterà a qualunque apertura che avrebbe potuto meglio inserire l’iniziativa economica delle regioni.

Come tutte le persone appartenenti alla generazione dei padri fondatori, Béji Caïd Essebsi è un giurista, non un economista, la sua esperienza lo porta più a pensare l’organizzazione dello Stato, a misurare i rapporti di forza invece che a immaginare un modello economico e sociale.

Il Palazzo degli intrighi

Ma ciò che avrà più inibito la sua presidenza saranno le divisioni della famiglia politica che ha condotto Béji Caïd Essebsi al potere. La coesione di Nidaa Tounes si basava sulla comune opposizione a Ennahdha. Una volta conquistato il potere e, ancor più, condivisolo con l’avversario, il partito non poteva fare altro che mostrare a tutti le sue contraddizioni, rivelando come fosse sia privo di visione che imbevuto di ambizioni, dato che non si è diviso su disaccordi ideologici, ma su rivalità personali, suscitate in particolare dalla presa di potere del figlio del presidente, Hafedh Caïd Essebsi, all’interno di Nidaa Tounes.

E’ questo il grande enigma legato alla presidenza Essebsi: perché il capo dello Stato non ha dissuaso il proprio figlio, privo di abilità politica, dal mantenersi a qualunque costo alla testa del partito mentre Nidaa Tounes offriva lo spettacolo delle sue lotte intestine, del suo disfacimento al punto da perdere la prima posizione in Parlamento a vantaggio di Ennahdha, della sua incapacità a strutturarsi?

Poiché Ennahdha ha tratto profitto dall’indebolimento del campo politico del presidente, Béji Caïd Essebsi ha dovuto farsi in quattro per cercare di mantenere il controllo, mettendo continuamente in discussione un’alleanza che avrebbe dovuto fluidificare le negoziazioni e facilitare l’adozione di riforme.

Per gestire i problemi del suo partito, non ha esitato a utilizzare lo Stato. La decisione unilaterale del giugno 2016 di mettere in opera un governo di unità nazionale e di rimpiazzare Habib Essid, un funzionario con un senso dello Stato universalmente riconosciuto, con un primo ministro quarantenne, Youssef Chahed, proveniente dai ranghi del partito, gli ha permesso di incastrare Ennahdha in una coalizione più larga di cui aveva la direzione.

Ma l’operazione dura poco. Il figlio spirituale svela subito la sua ambizione di prendere il controllo dell’apparato a scapito di Hafedh Caïd Essebsi.

Per più di un anno il conflitto ai vertici dell’esecutivo assorbe tutta l’energia delle istituzioni e dei partiti.

Mentre il Primo ministro organizza la sua rete, il capo dello Stato cerca, invano, di trovare una maggioranza per spingerlo alle dimissioni. Ennahdha non è abbastanza sicura delle intenzioni del Presidente per seguirlo su questa strada e alla fine sceglie di aprire la strada a Youssef Chahed.

A settembre 2018 Béji Caïd Essebsi annuncia che la sua alleanza con Ennahdha è finita.

A una coalizione che superava le divisioni, concepita per fare riforme, succede una somma di due tattiche di conquista del potere, a detrimento del clan Caïd Essebsi.

Sempre più isolato nel suo Palazzo, indebolito dall’età e dalla malattia negli ultimi mesi del suo mandato, il Presidente non potrà che opporre un’ultima manovra: il rifiuto di promulgare nel luglio 2019 gli emendamenti alla legge elettorale che avrebbero bloccato il cammino ai rivali di Youssef Chahed, malgrado la veemenza delle proteste provenienti anche dai sostenitori del giorno prima, davanti alla violazione evidente della Costituzione di cui era garante.

In ritardo di una modernizzazione

Tuttavia si sottovaluta l’importanza delle circostanze politiche nel momento in cui si imputa loro ogni responsabilità per la mancanza di realizzazioni sotto il suo mandato. Bisogna invece tornare alle concezioni politiche che lo hanno ispirato per comprendere.

Per dare consistenza al suo quinquennio, rinsaldare il proprio campo e isolare Ennahdha che non smette di accrescere il proprio vantaggio, Béji Caïd Essebsi annuncia il 13 agosto 2017, anniversario della promulgazione del Codice dello Statuto personale, emblema del bourghibismo, la sua intenzione di formare una commissione ad hoc che studi la possibilità di instaurare l’uguaglianza nell’eredità e di studiare la conformità della legislazione con le nuove forme costituzionali in materia di libertà e di uguaglianza.

Con la stessa intenzione chiede al governo di abrogare una circolare del 1973 che impedisce il matrimonio di una tunisina musulmana con un non musulmano.

Ravviva a proprio vantaggio, ma ricavandone poco, l’immagine di un Bourghiba liberatore delle donne che ha molta presa sui partner occidentali. L’operazione gli permette, en passant, di distrarre l’attenzione dall’adozione di una legge di “riconciliazione amministrativa”, ultimo avatar del suo progetto di riconciliazione economica.

La dimensione tattica ha la meglio sull’intenzione riformatrice e quando la commissione gli consegna la propria relazione un anno dopo, la proposta di un codice delle libertà che peraltro aveva auspicato lui stesso, non viene accolta e per quanto riguarda il progetto di parità nell’eredità ne conserva solo una versione frammentaria che lascia intatta la concezione “agnatizia” della successione (che privilegia, cioè la famiglia del padre nella ripartizione). In realtà non esiste una maggioranza parlamentare per adottare una tale riforma, anche nel campo di Nidaa Tounes, né del resto un appoggio massiccio dell’opinione pubblica.

Lanciata per dividere e mettere in moto una battaglia politica, la questione non è stata posta in maniera da essere supportata da un consenso costruito e per adattarsi alle costrizioni sociali della popolazione. In questa nuova era la verticalità delle trasformazioni che vengono dal Diritto e dallo Stato non funzionano più. Lo stesso gradualismo, così caro a Bourghiba, rimane una forma di centralizzazione della decisione del leader.

Quale modernizzazione?

Il modernismo di Béji Caïd Essebsi e della sua famiglia politica è in realtà in ritardo, almeno di una modernizzazione. Focalizzato su una concezione dello Stato come “insegnante” della società, concepito per rompere i vecchi inquadramenti sociali e trasformare l’economia di un paese, tale modernità risale a metà del XX secolo.

La modernizzazione della liberalizzazione dell’economia e della mondializzazione è stata integrata negli anni ’90. E’ stato più facile adottare la modernizzazione democratica piuttosto che mantenerne il controllo.

All’opposto, Béji Caïd Essebsi e la sua famiglia politica non sono stati in grado di concepire una modernizzazione della maniera di governare, basata sulla deliberazione, l’inchiesta, l’inclusività e l’orizzontalità, in altre parole, l’esatto contrario delle concezioni bourghibiste.

Eppure proprio questo avrebbe permesso di rispondere alle aspirazioni della rivolta popolare del 2010 nella quale Béji Caïd Essebsi ha visto solamente un eccesso di febbre distruttrice.

Bilancio

Nel momento in cui occorre fare il bilancio, si potrà ricordare la saggezza di un uomo che ha stabilizzato il suo paese in un periodo e in una situazione geopolitica tumultuosi, che ha manovrato una classe politica in parte immatura, condotto Ennahdha a normalizzarsi, inserendo questo partito nelle logiche del potere.

Ma al di là di questo, a cosa sarà servita tanta abilità politica? Quale concreta attuazione lascia in eredità il successore di Bourghiba? Una famiglia politica divisa, senza identità né progetto, nessuna grande riforma economica o sociale trasformatrice, nessun rinnovamento nella relazione fra Stato e cittadini, una transizione costituzionale incompiuta.

La responsabilità in questa assenza di rinnovamento nelle concezioni politiche e del modello economico è certamente collettiva, ma si cercherà invano il grande discorso di un leader visionario che, intuendo nelle potenzialità dell’avvenire ciò che altri non vedono, avrebbe mostrato la via e ispirato la sua epoca.

L’articolo originale è apparso il 25 luglio 2019 sul sito Middle East Eye

Traduzione e adattamento dal francese a cura di Patrizia Mancini